Il Cacciatore di Piante – capitolo II


narrativa / venerdì, Giugno 1st, 2018

 

Mentha x piperita

 

Le pareti del locale erano tappezzate di libri e i tavolini erano disposti tra gli scaffali. Osservai la finestra che dava sulla strada. Alcuni volumi vi erano stati messi in esposizione. All’improvviso realizzai di essere già passato per quella calle: qualche ora prima mi ero fermato a osservare i libri esposti in vetrina, pensando che fosse una semplice cartoleria.
Quando il tè di menta piperita fu sul nostro tavolino, la ragazza, senza ancora aver proferito parola, si alzò dalla sedia. Si diresse verso la vetrina, da cui prese due libri per poi riporli su di un anonimo scaffale, lontano dalla vista dei passanti.
«Così siamo più al sicuro», disse lanciandomi uno sguardo d’intesa.
Uno dei due libri era una guida turistica di Cadice, che sulla copertina presentava una bella fotografia di Campo del Sur. L’altro, un volume su cui spiccava il cognome dell’autore: “Aramburu”.

*

Aramburu. Elena Gomez Aramburu era il nome che portava la coprotagonista della storia che più mi aveva colpito fra quelle raccolte in “Vida universitaria y leyendas de la biblioteca”, quando, il giorno precedente, lo avevo letto. Il personaggio femminile che chiudeva il racconto aveva invece nome di Anaid. Era una ragazza fenicia e si immaginava che suo fosse il sarcofago noto come “la Dama di Cadice”.
Quella mattina, esplorando la città, avevo notato nella vetrina il nome Aramburu. Una casualità che mi aveva incuriosito. Deciso a lasciarmi guidare dalla magia che sembrava impregnare gli antichi palazzi e il labirinto di vie, presi come suggerimento sul percorso da fare il fatto che, quasi sovrapposta al libro di Aramburu, ci fosse una guida turistica indicante Campo del Sur.
Quando raggiunsi il lastricato lambito dall’oceano, indicato col nome di Campo del Sur, fui colmo di meraviglia: mi trovavo davanti alla Dama di Cádiz.

*

«¿Por qué elegiste Cádiz?»
La ragazza vestita di bianco tornò a pormi la stessa domanda che mi aveva rivolto di fronte alla Dama di Cádiz.
«Prima ti ho detto che lo sai già, altrimenti perché mi avresti cercato per chiedermelo? Ora ne ho quasi la certezza, che tu lo sappia.»
«Allora dimmelo, vediamo se pensiamo alla stessa cosa.»
«Va bene», tentennai. «Sono interessato all’approccio con cui viene spiegata la farmacologia in questo ateneo.»
La ragazza appoggiò il cucchiaino da tè sul tavolo con forza, facendo oscillare il profumato contenuto delle tazzine.
«Ti sto chiedendo di dirmi la verità. Là fuori c’è della gente che ti sta cercando per il motivo per cui sei qui. E non ti sta cercando per offrirti un tè. Dimmi perché hai scelto Cadice come meta del tuo Erasmus. È molto importante che io sappia se i miei sospetti sono veri.»
La guardai a lungo. Poi cominciai a parlare.
«Cadice è una zona di frontiera tra due continenti. Dal punto di vista naturalistico è molto interessante.»
«Continua.»
«La botanica è uno dei miei interessi. In questa regione la flora europea si mescola con la nordafricana. Qui c’è la possibilità di osservare piante molto rare.»
«Finalmente cominci a dire la verità. È quello che sospettavo.»
«Non penso ci sia nulla di male», ribattei. «Fino a un secolo fa era normale per uno studente di medicina interessarsi ai vegetali. Molti grandi botanici, come Friedrich Welwitsch, erano medici.»
«Non intendevo farti pensare che io disprezzi la botanica. È quello che sospettavo… per uno studente Erasmus che se ne va in giro con un libro di botanica sistematica stampato a Padova mezzo secolo fa», disse sorseggiando l’infuso di menta.
Sgranai gli occhi.
«Hai tu il mio libro?»
«No, ma ho una fotografia della copertina e della quarta del tuo libro.»
«Cosa?», ebbi appena il tempo di dire mentre mi mostrava la fotografia del trattato sul suo cellulare.
«Come probabilmente ben sai c’è qualcosa appuntato a matita sulla quarta di copertina.»
«Sì, è un nome che vi annotai io qualche mese fa.»
«Hai scritto Abritonide», rispose con sguardo severo.
La guardai trattenendo a stento una risata. «È un nome inventato: è una di quelle parole strane che a volte capitano nei sogni. Una mattina ce l’avevo in mente e mi è parso un nome buono per essere attribuito a un genere vegetale. Ho fatto delle ricerche, è un nome che non esiste in nessun manuale o atlante. Non che abbia grandi speranze di scoprire un nuovo genere da denominare, ma intanto me lo sono segnato.»
Il suo viso assunse un’espressione incredula.
«Quello che sto per dirti deve rimanere segreto. Ormai sei coinvolto ed è inevitabile che tu sappia. Nelle catacombe di Cadice è stato recentemente scoperto un papiro di epoca romana. Il contenuto è per ora accessibile solo a pochi studiosi. Quello che per te è importante sapere è che il testo latino descrive le proprietà medicinali quasi miracolose di una pianta. L’autore anonimo del testo chiama la pianta in questione “Abritonis”.»
«Non ci credo! E io che speravo di aver inventato un nuovo nome. Che coincidenza», dissi ridendo.
«C’è poco da ridere e ora ti spiego perché. Mio padre è il ricercatore dell’ateneo che si occupa della parte biologica dell’indagine. I filologi stanno cercando di scoprire a che autore possa appartenere il testo, mentre il dipartimento di medicina, congiuntamente a quello di biologia vegetale, è incaricato dell’identificazione della pianta in natura e del suo studio biochimico. Per ora il documento è segreto. Ne sono a conoscenza meno di una decina di persone.»
«Perché tutto questo mistero? In fondo ci sono migliaia di piante medicinali e la scienza è di pubblico dominio.»
«Ti dirò solo che questa pianta potrebbe contenere una serie di nuove molecole che garantirebbero alle case farmaceutiche fatturati a nove zeri. Hai mai sentito parlare di cacciatori di piante?»
«Sì, sono degli avventurieri del rinascimento che andavano alla ricerca di piante, un po’ per passione, un po’ per denaro. Erano una via di mezzo tra lo scienziato e il bandito. Ma al giorno d’oggi non penso esista più nulla del genere. Soprattutto considerato che la vostra pianta è segreta.»
«Questo è il nostro problema: abbiamo avuto una fuga di notizie. Uno dei filologi che si occupavano della ricerca ha venduto informazioni a Hernando Montero Ferrer, un ricco farmacista di Barcellona che mira a fondare una casa farmaceutica.»
Un brivido mi corse lungo la schiena.
«E io in tutto questo come ci sono finito?»
«Stiamo cercando di monitorare l’eventuale arrivo di cacciatori di piante nel territorio di Cadice. Il proprietario dell’ostello nel quale soggiornavi mentre cercavi un appartamento è un nostro informatore. Un giorno ha notato il trattato di botanica sistematica sul tuo letto. Gli ha scattato la fotografia che ti ho mostrato prima. Finge di lavorare anche per Montero, per tenere sotto controllo le sue mosse, tuttavia sospetto stia facendo il doppio gioco. Questo spiegherebbe perché anche gli uomini di Montero siano sulle tue tracce.»
«Mi dispiace, ma non posso aiutare né voi, né Montero, perché io il nome l’ho inventato e sulla pianta non so proprio niente.»
«Immagino sia così, per quanto mi hai detto. Il fatto è che sia mio padre che Montero sono convinti del contrario e se con mio padre è possibile discutere, con gli uomini di Montero credo di no.»
Inquietato dalla piega che stava prendendo il mio Erasmus mi alzai in piedi e mi allontanai dal tavolino.
«Te ne stai andando?»
«Sì, questa storia non mi piace. Oltretutto non so ancora nemmeno il tuo nome.»
«Anche se te ne vai adesso, penso ci rivedremo presto. Per ora puoi chiamarmi Anaid.»
Mi fermai e feci due passi in sua direzione.
«Anaid? Ma come fai a sapere che…»
«Ho scritto io quella storia. Ho lasciato io il libro tra le radici dell’albero. Ho messo io il libro di Aramburu vicino alla guida turistica nella vetrina.»
La guardai con sguardo interrogativo, cercando di capire il perché di tutto ciò. Mi domandavo perché non mi avesse, più semplicemente, parlato a lezione. Feci per chiederglielo, ma scosse dolcemente il capo. «Non adesso. Saprai più avanti.»
Si alzò a sua volta. Lasciò dei soldi sul tavolo e si avviò verso la porta.
«Più avanti, quando?»
«Stanotte alle 21. Facoltà di medicina, aula Ramon y Cajal.»
Stanco della mancanza di logica che mi sembrava permeare gli eventi che si erano susseguiti fino ad allora, non le feci notare che dopo le 19 ogni locale della facoltà, a eccezione della biblioteca, sarebbe stato chiuso.
Ella aprì la porta e sgusciò nella calle con aria circospetta, per poi scomparire dietro l’angolo dell’edificio.
Decisi di non seguirla.

 

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