Il Cacciatore di Piante – capitolo IV: Monstera deliciosa


narrativa / giovedì, Giugno 14th, 2018

-Monstera deliciosa-

 

Delle voci esacerbavano il mio mal di testa. Ogni suono sembrava una ferita nella mente.
«Papà, si sta svegliando.»
«Sì, sta finendo l’effetto del narcotico, evidentemente.»
Sentii una voce che mi chiamava.
«Sei al sicuro adesso. Sei con noi. Sono Anaid, ricordi?»
«Lascialo in pace ancora un po’, sarà piuttosto irritabile. Gallardo non ci è andato leggero col narcotico, né col suo piano per far perdere di interesse il ragazzo per Montero.»
«Doveva proprio fingere di assassinarlo? Con una pistola da softair a proiettili macchianti? E l’idea migliore che gli è venuta per rendere realistica la scena è sparargli anche una cartuccia per telenarcosi veterinaria?»
«Non mi aveva spiegato il suo piano e io mi sono fidato. Ammetto che è stato un po’ rustico.»
«Rustico? Lo chiami rustico questo? È tanto se si riprenderà dallo spavento, per non parlare della narcosi.»
Cercai di aprire gli occhi e percepii un ambiente accogliente, illuminato da una luce crepuscolare che filtrava dalla finestra. Non avevo idea se si trattasse dell’alba o del tramonto. Mi abbandonai alla morbidezza del divano su cui ero disteso e mi riaddormentai.
Il calore di un raggio di sole sul viso mi risvegliò e mi misi a sedere sul divano guardandomi attorno. Le pareti bianche della stanza sembravano amplificare la luce solare che entrava dalla grande finestra. Su di un lato alcuni scaffali pieni di libri e cartelle per dossier, assieme a un’elegante scrivania di legno, assorbivano parte del bagliore. All’angolo tra due muri un ampio acquario attirò la mia attenzione. Non era dotato dei normali apparati di filtraggio, eppure l’acqua pareva molto limpida. Sopra di esso era sospesa tramite dei ganci una Monstera deliciosa che, priva di vaso, tuffava le sue radici direttamente nell’acqua. La osservai deliziato. Aveva un aspetto completamente diverso rispetto ai sofferenti esemplari venduti come piante d’appartamento. Numerose liane portavano centinaia di foglie cuoriformi a coprire parte del soffitto.
«Che cosa intelligente», osservai tra me e me. «La coltivazione idroponica ha reso la Monstera lussureggiante e grazie alle radici che filtrano continuamente l’acqua non occorre più l’elettricità per mantenere pulito l’acquario.»
«La tua osservazione è esatta. Complimenti.»
Mi resi conto di aver parlato a voce alta. Girandomi vidi il prof. Flores appoggiato con una spalla allo stipite della porta. Le ciabatte a quadri che indossava, assieme alla tazza di tè fumante tra le sue mani, facevano dimenticare l’aura severa della sera precedente.
«Ma ora desidero invitarti a osservare meglio il contenuto dell’acquario. È lì che è racchiusa la cosa più affascinante.»
Avvicinai il mio viso alla soglia trasparente che mi separava dal piccolo universo acquatico custodito nello studio. Notai che era più largo e profondo di quanto si potesse percepire dall’esterno e che era parzialmente inglobato nella muratura dell’edificio. Inizialmente però ciò che vidi mi deluse. Non c’erano variegati pesci tropicali né strane piante acquatiche, ma solo la foresta delle radici di Monstera. Cominciai a pensare fosse vuoto, quando da un angolo ombroso provenne un guizzo bianco e un animale si materializzò davanti a me. Dopo aver nuotato rapidamente a metà altezza, si fermò immobile. Sospeso a pochi centimetri da me, sembrava guardarmi con un sorriso innocente e divertito. Il corpo simile a quello di una salamandra era rosa pallido e la sua faccia da bambino era sormontata da una corona di branchie magenta.
«Si tratta di un Ambystoma mexicanum, anche conosciuto col nome di Axolotl, che in azteco significa “mostro acquatico”.»
«Non ho mai visto nulla del genere. In effetti il suo aspetto ricorda quello di alcune creature del mare mitologiche, ma proprio non potrei definirlo “mostro”. Ha un viso troppo tenero.»
«Ha un viso tenero come tutti i cuccioli. Infatti è in uno stadio giovanile dello sviluppo. Una delle sue particolarità è che non abbandonerà mai questo aspetto: si può dire che rimarrà sempre un po’ bambino. Il nome di questo fenomeno è neotenia.»
«Come mai ne tiene un esemplare nel suo studio?»
«È oggetto di ricerca da parte dell’università. L’altra particolarità, e la più importante per noi, è che l’Axolotl, quando danneggiato, è in grado di rigenerare senza cicatrici parti del suo corpo, come arti, polmoni, midollo spinale e persino parti di cervello.»
«Questo è uno dei grandi sogni degli esseri umani. La rigenerazione è l’obiettivo della ricerca sulle cellule staminali.»
«Vedo che ci capiamo. Nell’uomo è possibile ottenere una parziale rigenerazione dei tessuti manipolando le cellule staminali mesenchimali. Un potenziale riparativo molto maggiore lo avrebbero le cellule staminali embrionali, che tuttavia, per motivi etici, non possono essere utilizzate. L’Axolotl, nella sua perenne infanzia, ha un corpo che si comporta come se fosse una riserva inesauribile di cellule staminali.»
Con un guizzo l’animaletto scomparve dalla nostra vista.
«A quanto ne so, allo stato attuale della ricerca, la rigenerazione completa di un arto o di altri organi complessi però è qualcosa di fantascientifico. È una fantasia che non sembra potrà essere realizzata nemmeno nei prossimi decenni.»
Il professore rispose alla mia affermazione con una risata sommessa.
«Cosa saremmo disposti a fare pur di vedere un arto rigenerarsi completamente, eh? L’esistenza umana sarebbe completamente rivoluzionata.»
Si interruppe e si avvicinò al balcone. Nel candore abbacinante dell’esterno si poteva intuire la sagoma della Catedral de la Santa Cruz.
«Saremmo disposti a perderlo, quell’arto, pur di conquistare la capacità di rigenerarlo», continuò. «Saremmo disposti a mettere a repentaglio la nostra vita e non avremmo più bisogno di chiese: inferno o paradiso non avranno più importanza perché la morte stessa sarà lontana dal nostro orizzonte. E pensando all’enorme quantità di denaro che una scoperta del genere potrebbe far guadagnare, alcuni non solo metterebbero a repentaglio la propria vita, ma sarebbero anche disposti a uccidere.»
«Dove vuole arrivare con questo discorso?»
Si girò lentamente verso di me e mi fece cenno di avvicinarmi alla scrivania. Accese il computer e aprì una cartella.
Delle fotografie riempirono lo schermo. Mentre le faceva scorrere, non coglievo nulla di decifrabile sulla trama marrone e nera del papiro. Poi arrivò a un’immagine che lasciò sullo schermo. Un disegno riproduceva abbastanza fedelmente quella che sembrava una pianta erbacea dalle foglie nastriformi. Il disegno successivo raffigurava un soldato stilizzato a cui mancava un arto. Una sequenza di rappresentazioni descriveva in modo figurato l’applicazione di una massa vegetale sulla ferita, che poi veniva fasciata strettamente.
Con un click del mouse aprì un’altra foto. Il papiro presentava un’altra serie di figure accompagnate da cifre romane che ne indicavano l’ordine cronologico. Nella prima, sulla lesione del soldato compariva un abbozzo di arto, mentre nelle seguenti ne veniva raffigurato lo sviluppo, fino a un braccio funzionante e proporzionato.
Infine, un altro disegno della pianta accompagnato da lettere di cui si intuiva il significato. Senza troppo sforzo riuscii a leggere Abritonis.

D’improvviso, come se gli ultimi effetti del narcotico fossero svaniti, mi ritornò in mente l’esperienza della sera precedente e la paura che avevo provato. Ricordai Gallardo che premeva il grilletto e la convinzione, durata qualche frazione di secondo prima di perdere coscienza, di stare per morire. Provai un attimo di rabbia nei confronti dell’uomo che avevo davanti e che stava manovrando la mia vita. Tolsi la maglia che mi era stata messa al posto di quella macchiata e mi guardai l’addome e il torace. Due lividi circolari di qualche centimetro erano accompagnati da un piccolo puntino rosso. Mi toccai lo zigomo e scoprii che vi era stato posto un cerotto. Guardai furioso il professore.
«Mi dispiace per come è stato portato a termine: il piano era quello di far dimenticare a Montero il problema che costituivi per lui.»
«E quindi, ora che crede che io sia morto, dovrei vivere nascosto?»
«Per ora non è necessario. I suoi uomini non sono più nella città.»
«E Gallardo?»
«Gallardo sta facendo il suo lavoro di portinaio. Non devi preoccuparti per lui, sta dalla nostra parte.»
«Ho i miei dubbi. È stato lui a derubarmi, assieme agli uomini di Montero.»
«Finge di lavorare per lui, ma in realtà è un nostro informatore. Ricorda che, se non fosse per lui, tu saresti ancora nella lista nera di Montero. È probabile che nel giro di qualche giorno saresti diventato uno di quelli che in Sud America chiamano “desaparecidos”.»
Il tono severo del prof. Flores mise un freno alle mie emozioni. Mi tornai a vestire, mentre il rintocco di una campana della cattedrale si introduceva nella stanza. Il suono del tempo mi fece ricordare gli impegni della giornata. Alle dodici presso l’aula magna della facoltà di lettere si sarebbe tenuta la cerimonia di benvenuto agli studenti Erasmus. Guardai il cellulare e notai che mancavano solo trenta minuti.
Il professore mi accompagnò all’uscita dell’appartamento.
«Ti faremo sapere quando ci servirà il tuo aiuto.»
«Non credo che all’equipe di ricerca di un ateneo serva il mio aiuto.»
«Questo è ancora da vedere.»

 

 

 

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