Il Cacciatore di Piante – capitolo IX


narrativa / martedì, Luglio 31st, 2018

– Cloro –

 

 

In fondo a una stanza vuota della facoltà di chimica erano visibili due massicce porte tagliafuoco chiuse. Una a fianco all’altra, erano separate da una doccia di emergenza. Sulla prima era posto uno dei tipici cartelli gialli che ci sono nei laboratori chimici. Recitava “Attenzione. Sala di stoccaggio acidi e basi.” Sulla seconda c’era scritto “Laboratorio” e un mazzo di chiavi era appeso alla serratura. Era dove ci stava aspettando il prof. Flores. Appena entrammo Anaid iniziò a raccontargli quello che era accaduto, ma prima che potesse informarlo della morte di Gallardo, egli la interruppe chiedendo se avessimo recuperato il libro. Senza esitare glielo diedi.

«Bene, iniziamo subito. Ho già pronta la soluzione di ipoclorito di sodio. Vado a prenderla nella stanza a fianco. L’ho preparata mentre vi aspettavo, ché qui è finita», disse indicando una finestra dotata di una pesante grata di metallo attraverso cui si vedeva la sala di stoccaggio delle grosse quantità di acidi e basi. Uscì dalla porta e poco dopo, attraverso la grata, lo vidi prendere un contenitore da un armadio. Quando rientrò nel laboratorio fece un sospiro. «È un po’ una scocciatura conservare i contenitori più grandi nell’altra stanza, ma è previsto dal piano di sicurezza. In questa si può tenere fino a un litro per ciascun reagente.»

Posizionò il manuale di botanica sistematica sotto a una cinepresa che avrebbe filmato l’emergere delle scritte dal libro e cominciò a lavorare.
Le prime pagine non reagirono all’ipoclorito di sodio, se non per il fatto che, con mio grande dispiacere, le scritte e i disegni sbiadivano.

Dopo le prime quindici pagine iniziò a emergere qualcosa. Una fine calligrafia copriva fittamente le pagine del libro, alternata a disegni di quelle che sembravano carte geografiche.
«Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo», disse esultante. «Guarda, questa sembra una riproduzione dei confini del Marocco. Forse è lì che andremo a continuare la nostra ricerca. Ho la sensazione che presto dovrò dire a Gallardo di prenotare un altro volo aereo.»

«Gallardo è stato ucciso. Fucilato dalle guardie che presidiavano la villa», disse brusca Anaid.
Il prof. Flores interruppe ogni movimento. «Cosa?» Quando si riprese dalla sorpresa iniziò a parlare a voce bassa. «Questo non era nei piani.»

Notai che erano le stesse parole che aveva detto Anaid.
«L’altro giorno lei ha detto che la mia vita era a rischio per via degli uomini di Montero. Perché ora vi stupite tanto che abbiano ucciso Gallardo? Probabilmente hanno scoperto che faceva il doppio gioco.»
Attese un attimo prima di rispondermi. Lasciò che lo sguardo tornasse impassibile, fino a che le emozioni smisero di filtrare attraverso le lenti dei suoi occhiali. «Non avevamo previsto che Montero potesse arrivare a tanto. Sparare a una persona è un delitto facilmente identificabile dalla polizia spagnola. Organizzazioni come la sua, se volessero togliere di mezzo qualcuno, simulerebbero un incidente.»
«Quindi quello che vi spaventa è che Montero sia così influente da poter evitare di essere incriminato per atti del genere?»

Annuì mentre riprendeva a spennellare ipoclorito di sodio sulle pagine. Restammo a guardare in silenzio l’ipoclorito di sodio reagire con lo ioduro di potassio, producendo cloruro di sodio, idrossido di potassio e lo iodio che imbruniva la carta. Quando ebbe finito mise il libro in un essiccatoio e ne accese la ventola.

Repentinamente però la ventola smise di girare. Le luci della stanza si spensero e si accesero quelle di emergenza. Anche le cappe aspiranti che permettevano il ricambio di aria nella stanza si arrestarono.
«È saltata la luce. Dev’esserci stato un cortocircuito nell’essiccatoio. Il salvavita è appena fuori dalla porta, vicino alla doccia d’emergenza. Anaid, andresti tu?», disse il prof. Flores. Appena Anaid si alzò si sentirono due sonori schiocchi provenire dalla porta. Poi il rumore metallico delle chiavi che venivano asportate dalla serratura. Si precipitò contro il maniglione antipanico, ma il suo slancio venne arrestato dall’anta blindata che restò chiusa. Si mise a bussare e a chiamare a voce alta. «C’è gente che sta lavorando nel laboratorio. Aprite.»

«È inutile che gridi. Nessuno verrà ad aprirti.»
La voce di Gallardo ci fece voltare tutti di scatto. L’uomo ci stava osservando con un ghigno attraverso la grata che separava la stanza degli acidi e delle basi dal laboratorio. «Sei vivo», gridò Anaid.
«Che domande. Non crederai mica nei fantasmi?», rispose sarcastico.
«Abbiamo sentito i colpi di fucile, pensavamo ti avessero sparato.»
«Significa che la messinscena ha funzionato alla perfezione. Nessuno correrebbe il rischio di eliminare così una persona. Siamo in Europa e le indagini starebbero poco a scoprire esecutore e mandante. Infatti all’inizio pensavamo di organizzare un bell’incidente per due ragazzi alla villa.»
«Quando sei restato fuori stavi discutendo con la guardia su come assassinarci?», chiese Anaid incredula.
«Come sei diretta con le parole, ragazza. Non mi piace la parola assassinio. Chiamiamolo “incidente fatale”. Che alla villa non è avvenuto. Abbiamo concluso che sarebbe stato molto più semplice farvi arrivare al laboratorio. Lasciarvi giocare al “piccolo chimico” con papà, per poi raggiungervi in questa piacevole riunione familiare.»
«Cosa vuoi da noi, Gallardo?»
«Certo che sei lenta a capire, ragazza. Datemi il libro.»
«Gallardo, se ne può discutere. Posso far aumentare la tua paga all’università», intervenne il prof. Flores.
«Non mi interessano i soldi, ma certo, se ne può discutere. Forza, che ciascuno metta sul tavolo le proprie condizioni, allora.»
«Le mie condizioni sono», iniziò Flores, ma venne subito interrotto da Gallardo.
«Questa è una delle mie condizioni», disse l’uomo aprendo l’armadio delle basi e spostando un pesante fusto mezzo pieno di ipoclorito di sodio sul tavolo. «E questa è l’altra delle mie condizioni», aggiunse estraendo una bottiglia di acido cloridrico concentrato dall’armadio degli acidi.
«Cosa intendi fare con quella roba?»
«Ah non lo sai?», disse Gallardo fingendo stupore. «Eppure qualsiasi massaia sa che non bisogna mescolare la candeggina, che contiene ipoclorito di sodio, agli acidi. Mi sarei aspettato di meglio da uno scienziato come te.»
Svitò il tappo dell’acido cloridrico e fece cadere una goccia della soluzione sulla polvere bianca. Una nuvoletta verde si sollevò dal fusto.

«Fermo! Così produci Cloro, ci avvelenerai tutti.»
«Allora qualcosa ti ricordi di chimica, Flores. Spero che ti ricordi anche alcuni dettagli della situazione presente: siete chiusi a chiave in una sala senza finestre. La vostra stanza comunica con questa attraverso una grata molto solida, che non può essere oltrepassata da una persona, ma da un gas sì. Ho staccato la corrente elettrica e le cappe aspiranti sono fuori funzione. Se non mi date immediatamente il libro, in poco tempo vi troverete a respirare più Cloro che Ossigeno. Un incidente che, tutto sommato, può capitare se in un laboratorio entra gente inesperta come voi tre.»
Pensai che non avrebbe avuto senso continuare a discutere. Aprii l’essiccatoio dov’era riposto il libro e andai vicino a Gallardo. Il prof. Flores annuì dandomi il suo consenso, sebbene non gliel’avessi chiesto. Feci passare il libro attraverso le sbarre.
«Che piacere discutere con gente come voi», disse afferrando il libro. «È un peccato che non ci saranno altre occasioni.»
Estrasse un’altra bottiglia di acido cloridrico dall’armadio e versò completamente il contenuto di entrambe sull’ipoclorito di sodio, poi se ne andò chiudendo la porta.

Una densa nube verde cominciò a sollevarsi dal fusto. In pochi secondi avvertii il tipico odore di piscina del Cloro.
Anaid urlò rabbiosamente il nome di Gallardo e si mise a dare spallate alla porta, ma senza ottenere alcun effetto, se non quello di farsi male.

Il prof. Flores provò a chiamare aiuto col telefono, ma nel laboratorio non c’era campo. «In ogni caso i soccorsi arriverebbero troppo tardi», commentò stoicamente.
«Papà, non sei di aiuto», gli urlò Anaid.
Il prof. Flores parve risvegliarsi da una sorta di torpore. Accese un becco di Bunsen e regolò l’ugello per ottenere una fiamma blu, poi lo prese in mano reggendone il supporto alla base. Con l’altra mano sollevò la pesante bombola del butano e si avvicinò alla porta. Avvicinò il punto di massimo calore alla serratura e cominciò pazientemente ad arroventarla, con l’obiettivo di raggiungere il chiavistello interno e fonderlo.

Ormai la nebbia verde iniziava a oltrepassare la grata e il profumo di piscina era stato sostituito da un odore nauseante.
«Non ce la faremo mai così, è una porta antincendio», disse Anaid e, presa dal panico, si mise a tirare vasetti contenenti sostanze chimiche contro l’anta di metallo.

«Sei tu che non aiuti adesso. Smettila di tirarmi cose», esclamò il padre innervosito, continuando a puntare il cannello contro la serratura.
«Aspetta, mi è venuta un’idea», gli rispose. Aprì l’armadietto degli acidi e, armata di una bottiglia da un litro, si avvicinò a dove stava lavorando il padre. «L’acido nitrico corrode il ferro, giusto?»

«Sì, ma un litro non è abbastanza per bucare la porta.»
«Anche il tuo becco di Bunsen non è granché. Voglio provarci», disse svitando il tappo della bottiglia scura.
Ero d’accordo col prof. Flores. Svuotare la bottiglia sulla porta sarebbe stato quasi completamente inutile. Inoltre avrebbe reso più pericoloso continuare a lavorare col Bunsen. Sicuramente avrebbe liberato ulteriori gas tossici e, inoltre, si sarebbe prodotto nitrato ferrico. Sapevo che molti nitrati erano esplosivi e non riuscivo a ricordare se il nitrato ferrico fosse tra questi o no.
Fui folgorato da un’idea.
«Anaid, ferma», gridai appena in tempo. «Portami l’acido nitrico, ho in mente cosa fare.»

Cominciavano a lacrimarmi gli occhi. «Dobbiamo guadagnare tempo, prendi le due bandiere della Spagna che abbiamo comprato e appendile alla grata. Cercate di tappare i buchi al meglio, rallenterà un po’ il flusso di gas.»
Sembrarono condividere l’idea e mentre disponevano le stoffe sulla grata presi la bottiglia di acido nitrico e la svuotai in un becher da due litri. Trovai una bacinella abbastanza capiente da contenere il vaso in vetro borosilicato e portai il tutto vicino alla grata affinché, in assenza di cappe aspiranti, i fumi tossici di ipoazotide che avrei prodotto fluissero nell’altra stanza attraverso il drappeggio di una bandiera.

«Ora produrrò del fulminato d’argento», annunciai.
«Mi ricordo», disse Anaid. «È l’esplosivo primario ad alto potenziale.»
«C’è dell’argento nel laboratorio?», chiesi al professore, ma scosse la testa.
Mi rivolsi allora ad Anaid, cercando di fare lo sguardo più intenso che mi fosse permesso dagli occhi che lacrimavano. «Mi serve la tua collana», affermai con decisione.
«Mi stai dicendo che la farai esplodere?», disse scuotendo la testa e portando le mani a proteggere il dono che le aveva fatto lo sciamano.
«No. Sto dicendo che la tua collana farà esplodere la maledetta porta. È un talismano della libertà, giusto? E adesso ci libererà da questa trappola.»
Non sapevo se le lacrime che le rigavano le guance fossero solo quelle prodotte dal Cloro. Dopo qualche secondo di esitazione si sfilò la collana e me la mise in mano.
La soppesai. «Sono più o meno 300 grammi, è molto pesante per essere una collana.» Annuì in silenzio.
«Quando produssi il fulminato d’argento per gioco, non mi arrischiai a superare il grammo di composto. Mi spaventava la sua instabilità e la sua potenza. Pochi milligrammi bastano per ottenere uno scoppio udibile.»
Mi chinai e affondai lentamente il monile nell’acido nitrico, che cominciò a ribollire liberando un gas marrone. Guardai la tavola periodica appesa alla parete e feci un rapido calcolo. Presi un respiro prima di terminare la frase. «Oggi ne produrremo un po’ più di quattrocento grammi.»
Constatai che mi tremava la voce. Avevo paura della sintesi chimica che mi apprestavo a condurre, ma sapevo che non c’era scelta.
Per la fase successiva avevo bisogno di etanolo e ghiaccio per abbassare la temperatura della reazione esotermica. Fortunatamente come in ogni laboratorio c’era un congelatore e una bottiglia di alcool denaturato.
Quando il fumo di ipoazotide smise di essere prodotto, la collana era completamente scomparsa nel liquido trasparente. Riempii la terrina di ghiaccio, poi aggiunsi l’etanolo alla soluzione di acido nitrico e nitrato d’argento.
La temperatura salì velocemente e mentre raggiungeva l’ebollizione mi precipitai al congelatore in cerca di altro ghiaccio. Temevo che il tutto potesse esplodere da un momento all’altro. Con le mani che mi tremavano raschiai le pareti della cella frigorifera producendo una quantità di neve che aggiunsi alla terrina.
La soluzione si raffreddò e la reazione rallentò. Osservai che piccoli cristalli bianchi si formavano sospesi nel liquido, per poi precipitare. Ciascuno di quei cristalli di fulminato d’argento aveva la possibilità di esplodere anche bagnato, rendendo molto pericoloso il contenitore che avevo davanti.
Quando la reazione terminò, filtrai la soluzione con un’abbondante quantità di carta da filtro ottenendo una massa di cristalli le cui dimensioni mi diedero un brivido di paura. «Anaid, per favore portami un coltello e la prolunga dell’essiccatoio staccata dalla corrente. Mi raccomando, staccata dalla presa», ripetei sottolineando il concetto.
Quando la ebbi in mano tagliai l’estremità della prolunga e ne sbucciai i fili con la lama. Dopodiché inserii le punte di rame dei cavi all’interno della pasta di fulminato d’argento e chiusi su loro stessi i fogli di carta da filtro.

Mentre reggevo con le mani guantate il candelotto che avevo ottenuto, cominciai a tossire e la vista si fece sfuocata. Sapevo che qualsiasi urto avrebbe fatto detonare l’esplosivo.
Mi voltai in cerca di aiuto, ma mi accorsi che anche Anaid e il prof. Flores erano presi da una tosse irrefrenabile e conati di vomito.

«Il Cloro provoca questi sintomi quando è a trenta parti per milione. Stiamo per raggiungere la soglia che dà edema polmonare», disse con voce rauca Flores.
«Smettila di fare il saccente e andiamo ad aiutarlo», disse Anaid muovendosi maldestramente verso di me.

«No, no, no, no, no», dissi con la pelle d’oca. «Fai piano. Piano. Adesso ti dico cosa fare». Cercai di riprendere fiato e di schiarire la mente. «Avvicina l’esplosivo secondario alla porta.»
Anaid protese bruscamente una mano verso il candelotto che reggevo. Feci un salto all’indietro. «No, non questo», esclamai. «Il secondario, non il primario. Mi riferisco alla bombola del butano.»

«E potevi dirlo, no?», disse spingendo la bombola fino a farla urtare contro la porta.
“Già, potevo dirlo”, pensai. Per fortuna il salto non aveva fatto danni. Molto lentamente appoggiai l’involucro contenente il fulminato d’argento e i cavi elettrici nell’angolo tra la bombola e la porta.
Anaid tra un colpo di tosse e l’altro si appoggiò al muro e mi guardò con aria improvvisamente atterrita. «Esplosivo secondario significa che con il fulminato d’argento vuoi far esplodere la bombola del gas?»
«Esatto.»
«Sei pazzo! Salterà in aria tutto il laboratorio.»
«Temo che il fulminato d’argento da solo possa non essere sufficiente ad aprire la porta.» «E non possiamo provare?»
«Abbiamo solo un’unica possibilità. Se non funziona moriremo avvelenati. Con la bombola del gas sono sicuro di aprire la porta.»
Indicai un imponente armadio d’acciaio dall’altro lato del laboratorio. «Spostiamo quello in obliquo in modo che ripari l’angolo tra i due muri. Ci nasconderemo lì dietro.»
In tre, dando fondo alle ultime energie, riuscimmo a spostare l’armadio e a creare il riparo. In quella posizione l’armadio proteggeva anche una presa elettrica, che avevo intenzione di sfruttare per innescare la reazione a distanza. Mentre il prof. Flores e Anaid si infilavano dietro all’armadio, io svolsi il cavo elettrico. Staccai da una lavagna di plastica bianca le palline di plastilina utilizzate per attaccarvi dei fogli. Poi li raggiunsi reggendo la spina. Distribuii i pezzi di plastilina da mettere nelle orecchie per proteggere l’udito, poi, nella penombra, individuai la presa di corrente. Speravo con tutto me stesso che le lastre d’acciaio dell’armadio fossero sufficienti a proteggerci.
Innestai parzialmente la spina nella presa. Mi fermai un attimo. Poi la spinsi fino in fondo. Silenzio.
Nessuna esplosione, nessun rumore.
Se non avesse funzionato, tutto sarebbe finito.
Anaid si mosse vicino a me. Nello spazio angusto sentii un suo braccio scorrere sulle mie spalle. Pensai fosse un abbraccio d’addio.
Poi mi resi conto che voleva solo mettersi in una posizione migliore per indicare la presa. «Gallardo ha staccato la corrente, ricordi?»
Cercando di non farmi prendere dal panico mi misi a pensare a quale altra fonte di energia elettrica avrei potuto usare.
«Dammi il coltello e la batteria del tuo cellulare», dissi con un filo di voce.
Con la lama sbucciai anche quell’estremità del cavo. Poi avvicinai i fili denudati ai poli della batteria.

L’onda d’urto fu come un pugno nello stomaco. Mi mancò il fiato e l’armadio si mosse di qualche centimetro. Quando sgusciai fuori dal nascondiglio il ronzio di un sonoro acufene mi riempiva la testa.
Disorientato dal caos che regnava nel laboratorio per un attimo non seppi dove guardare. Poi vidi che la porta era stata completamente scardinata.

Corremmo fuori dal laboratorio e poi fuori dalla sala d’accesso. Il talismano della libertà di Anaid aveva fatto il suo lavoro.
Non incontrammo anima viva fino ai corridoi che portavano verso le aule dell’università, dove gruppetti di studenti si interrogavano eccitati sulla natura del botto che avevano sentito.

«Ora cerchiamo il modo di avvisare la polizia», dissi ancora frastornato.
«No, nessuno avvisa la polizia adesso», affermò con decisione il prof. Flores.
«Perché?»
«Per due motivi. Il primo è che sono un professore dell’università di Cadice e non di Barcellona e non sarei autorizzato a utilizzarne i laboratori. Per farlo ho pagato alcune mie conoscenze di questo ateneo. In questo modo mi hanno garantito che il piano dell’edificio dove abbiamo lavorato sarebbe restato deserto per qualche ora.»
Sgranai gli occhi. «Ha corrotto della gente?»
Non rispose e continuò. «Il secondo motivo è che se fossimo coinvolti in un’indagine della polizia potrebbe trapelare la ricerca della pianta. Il tradimento di Gallardo già da solo mi preoccupa molto. Non me lo sarei mai aspettato, né tantomeno credevo potesse avere una determinazione così spietata.»
Si fermò per rivolgersi esplicitamente a me. «Ora hai capito che Montero non scherza.»

 

 

 

 

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