Il Cacciatore di Piante – Capitolo XII


narrativa / lunedì, Agosto 20th, 2018

– Punica granatum –

 

 

La finestra senza imposte dell’antica casa lasciava filtrare i rumori del mercato e un raggio di sole che illuminava la stanza decadente. La luce disegnava il suo percorso rettilineo attraverso le spirali di fumo di un incenso acceso. Cadeva infine sul piatto posto su di un basso tavolino.
Zayd, seduto di fronte a noi, teneva in mano una melagrana. Dopo averne lucidato la buccia con un lembo del vestito, prese un coltello e fece un taglio circolare in prossimità alla corona dell’apice. Rimosse delicatamente la parte di scorza a forma di cupola che aveva ottenuto, poi incise dei meridiani sul frutto. Con uno schiocco la balausta si aprì in una rosa di spicchi, che appoggiò nel circoscritto bagliore in cui splendeva il piatto. I semi assunsero l’aspetto di gemme incastonate tra le ciche argentee. Il cremisi traslucido degli arilli superava l’incandescenza di rubini perfetti.
«Questo è il tesoro che vi offro in benvenuto. È dolce ornamento per la casa. Nutrimento per la bocca e per gli occhi.»
«Ti ringraziamo, Zayd, per questo tuo dono», rispose Anaid.
«La sua bellezza e la sua bontà sono la bellezza e la bontà del sole e della terra.»
«La bellezza e la bontà che tu mi hai insegnato a cercare e trovare.»
«Ogni donna e ogni uomo ha dentro di sé la capacità, ma spesso se ne dimentica. Io non ti ho insegnato. Solo ti ho fatto ricordare.»
«La tue azioni sono azioni che fai per il mondo.»
«La mia vita è fare ciò che la madre Terra mi chiede. Ma ora dimmi perché sei tornata. Sento che stai cercando qualcosa e che fatti gravi portano qui te e questo giovane.»
«Si tratta di mio padre. È malato. Una ferita rischia di fargli perdere una gamba e forse la stessa vita. Dobbiamo trovare una pianta che pensiamo possa curarlo.»
«Vuoi che ti insegni a cercare una pianta, ma non posso. Ognuno ha un dono che deve curare. La madre Terra a te ha dato il dono di indirizzare i passi delle prede. Sento che tu hai usato questo dono e perciò so di non essermi sbagliato a fartelo scoprire. Ma non mi è concesso distrarti dal tuo dono con altri insegnamenti.»
La lentezza con cui procedeva il dialogo tra Zayd e Anaid mi stupiva e contrastava con la necessità di procedere nella nostra missione in fretta. Lo sciamano era affascinante, ma non comprendevo la logica delle sue affermazioni. Anaid si girò verso di me e mi osservò intensamente.
«Hai ragione», disse Zayd apparentemente senza smettere di guardare Anaid. «Il ragazzo che hai portato con te ha il dono delle piante. I suoi occhi che si nutrivano dei colori della melagrana me l’hanno rivelato.»
«E tu puoi insegnargli come trovare la pianta?»
«Sento che questo è il suo dono. Posso insegnargli a scoprirlo.»
Lentamente lo sciamano mi concesse il suo contatto visivo.
«Qual’è la pianta che cerchi, ragazzo?»
Cercai di trovare le parole giuste per comunicare con lo sciamano. «Cerco la pianta della Tribù della Figlia del Sole.»
Un’ombra calò sul suo viso e pensai di aver detto qualcosa di sbagliato.
«Nulla posso insegnarti su come trovare la pianta della Tribù della Figlia del Sole. Solo lo sciamano di questa tribù conosce il giardino dove cresce, unico posto su tutta la Terra.»
«È di vitale importanza che trovi la pianta.»
Zayd si fece pensieroso e restò in silenzio per alcuni minuti. Poi riprese a parlare, quasi emergendo da un altro livello di coscienza.
«Sento che le tue intenzioni sono nobili. Per questo ho deciso di aiutarti. Io vengo dalle pendici dell’Atlante e conosco leggende che mi possono condurre alla Tribù della Figlia del Sole.»
Lo guardai con gratitudine, già pensando al viaggio verso la catena montuosa dell’Alto Atlante. Subito però lo sciamano riprese a parlare.
«Il tuo animo è giusto, ma malato.»
Lo guardai basito.
«Prima che io possa aiutarti dovrai guarire», continuò. «È una malattia comune in voi che vivete oltre le acque dello stretto di Gibilterra. È un male che ha nome di fretta.»
«Dobbiamo trovare la pianta prima che sia troppo tardi», risposi prima di rendermi conto di star aggravando la situazione.
«Non potrò aiutarti finché il tuo animo sarà agitato dalla fretta.»
«Va bene», dissi rassegnato. «Cosa devo fare?»
«Desidero che tu vada al mercato. Ti darò del denaro e con questo denaro andrai al suq. Dovrai cercare il migliore mercante di spezie e comprare gli aromi che risveglieranno in te ricordi lontani.»

La strada sottostante alla casa di Zayd risuonava del vociare confuso dei mercanti che promuovevano i propri prodotti e della gente che si muoveva negli angusti spazi tra i tavoli coperti di merce. Anaid camminava vicino a me. Nella folla un uomo le urtò bruscamente la spalla. Sentii la sua mano cercare la mia e lasciai che le nostre dita si intrecciassero.
Di tanto in tanto le voci di persone che contrattavano si sollevavano sul rumore generale.
«Come si fa a non avere fretta in un posto del genere?», dissi cercando un varco nella calca.
«Zayd lo sa bene. Perciò ha pensato a questa prova per te.»
«Non c’è un altro modo per convincerlo a indicarci la strada per trovare la tribù?»
«L’unico modo è che tu guadagni la sua fiducia portando a termine il compito che ti ha dato.»
Continuavo a osservare le bancarelle, ma non riuscivo a vederne nessuna che vendesse spezie. Ci lasciammo guidare dai flussi di quella marea umana fino ad arrivare all’incrocio di due strette vie. In prossimità dell’angolo di un edificio individuai ciò che stavo cercando e trascinai Anaid in quella direzione.
Su di un piccolo tavolino erano disposti alcuni vasi contenenti polveri di varie tonalità dell’ocra. Il nome delle spezie era scritto sia in arabo che in spagnolo. Lo feci notare ad Anaid.
«Non esserne stupito, qui a Casablanca quasi tutti parlano spagnolo e francese oltre alla loro lingua.»
Mi rivolsi al ragazzo che presidiava il banco per sapere il prezzo delle spezie e mi rispose con uno spagnolo migliore del mio.
«Questo è un prezzo per turisti», proruppe Anaid. «Noi siamo qui per lavoro, facci un prezzo migliore.»
La guardai divertito mentre si lanciava a contrattare. Mentre discuteva col venditore mi misi a osservare la gente proveniente dalle due vie che si mescolava all’incrocio. Notai un uomo in abito tipico che si muoveva più veloce degli altri dandoci le spalle. Pensai che, dopotutto, la fretta non affliggeva solo gli europei. Camminò fino alla convergenza delle strade, dove si voltò per continuare in quella ortogonale alla nostra, permettendomi di vedere il suo volto. Era Gallardo.
«Anaid», esclamai distogliendola dal dibattito sul prezzo. Si voltò prima verso di me con un’aria interrogativa, poi vedendomi agitato guardò dove stavo indicando, qualche istante prima che Gallardo scomparisse.
«Non ci ha visti, vero?», chiese per prima cosa.
Scossi la testa. «Cosa ci fa qui?»
«So che è di padre spagnolo e madre marocchina. Forse è solo un caso che sia a Casablanca.»
Ero poco convinto e dalla sua espressione capii che condivideva i miei dubbi.
«Seguiamolo», dissi determinato e vidi risvegliarsi l’istinto da cacciatrice di Anaid.
Dopo aver pagato rapidamente un sacchetto contenente due etti di curry ci precipitammo nella via che aveva imboccato Gallardo. Sulle prime non riuscii a individuarlo, poi lo vidi che caracollava a una decina di metri da noi.
Avanzammo cercando di non dare nell’occhio senza perderlo di vista fino a quando non si fermò. Ci assalì il dubbio che si stesse per voltare, così ci infilammo in un gruppo di persone che guardavano una bancarella. Quando tornammo sui nostri passi sembrava essersi dissolto nel nulla. Corremmo fino alla posizione in cui si era fermato. Di fronte a noi il muro si apriva in un grande ingresso ad arco. Entrammo in un negozio che vendeva ogni genere di oggetti.
«Dev’essere entrato qui, non può essere altrimenti», dissi guardandomi attorno nel locale scarsamente illuminato.
Alcune decine di persone si muovevano fra gli scaffali osservando vestiti e vasellame. Altre erano in prossimità di alcuni narghilè.
«La legge islamica non vieta il fumo?», chiesi sottovoce ad Anaid.
«Sì, il tabacco è vietato, così come è vietata la cannabis», disse facendomi notare l’odore dolciastro che impregnava l’aria. «Ma il commercio di hashish costituisce il dieci percento del PIL del Marocco e la polizia “fa la vista grassa”, come si dice in spagnolo. Chiudono un occhio.»
Dall’altra parte del negozio notai alcuni movimenti rapidi. Gallardo, accompagnato da un altro uomo, superò una tenda, che rimase a oscillare nella penombra.
Ci avvicinammo alla cortina di pesante tessuto fingendo di essere interessati alla merce sulle mensole vicine. Poi, trattenendo il respiro e con i muscoli tesi, scostammo la tenda quel poco che bastava per guardare nell’altra stanza.
Quando la vista si adattò alla fioca luce di una moribonda lampadina a incandescenza individuai Gallardo e l’uomo che lo accompagnava seduti su di un tavolino. Sembrava che stessero contrattando alla solita maniera dei mercanti che avevo visto nelle vie della medina vecchia.
Gallardo estrasse dalle falde del lungo vestito arabo un sacco e lo mise sul tavolo. Sciolse il laccio che lo chiudeva e mostrò una decina di grossi pani neri. Il suo interlocutore ne prese in mano uno, lo soppesò, lo annusò, e fece un verso di soddisfazione.
«Hashish», disse a bassa voce Anaid.
I due continuarono a discutere in arabo ancora per qualche minuto. Poi lo sconosciuto si alzò e con un gesto teatrale scostò l’arazzo che nascondeva una parete. Pur essendo in ombra, vidi chiaramente la sagoma di una rastrelliera su cui erano ordinatamente disposte decine di armi. L’uomo ne prese una con disinvoltura e la porse a Gallardo, che la soppesò e valutò con gesti simili a quelli che erano stati riservati al suo panetto di droga.
«AK-47», sussurrai di rimando ad Anaid. Chiunque guardasse il telegiornale avrebbe potuto riconoscere il Kalashnikov.
Gallardo fece un cenno di assenso, poi la sua attenzione sembrò essere attratta da un’altra arma. Sollevò dalla rastrelliera un lungo tubo e fece una domanda all’uomo.
Percepii uno strattone e qualcosa che mi trascinava all’indietro.
Un uomo con braccia grosse come le mie gambe aveva afferrato Anaid e me per la maglia e ci stava trascinando lontano dalla tenda oltre la quale stavamo guardando. Ci condusse sgarbatamente attraverso il negozio e, una volta raggiunto l’arco d’accesso, ci spinse verso la strada. Infine si piazzò davanti all’ingresso a gambe divaricate e braccia conserte su di una canottiera sudicia. Il suo sguardo era eloquente. Senza pensarci due volte ci allontanammo veloci.
«Cos’era quel tubo?», chiese Anaid.
«Ho visto qualcosa di simile in un film, qualche tempo fa. Mi sembra si chiami Strela-2. È un lanciamissili terra aria. I missili sono guidati a infrarossi e sono in grado di inseguire i velivoli fino a colpirli.»
«Che cosa demoniaca.»
«È Gallardo che è demoniaco. Chissà cos’ha in mente.»
«Non riesco a immaginarlo. Dopo tutto il Marocco non è in guerra.»
Mi venne un brivido al pensiero che qualcosa di simile alle Primavere Arabe potesse coinvolgere il Marocco mentre eravamo impegnati a cercare l’Abritonide.
Tornammo il più velocemente possibile alla casa di Zayd. Quando entrammo ci condusse in cucina.
«Zayd, abbiamo un grosso problema», iniziai a spiegare. «C’è un uomo che ha tentato di ucciderci. Il suo nome è Gallardo. Ora è qui, lo abbiamo visto nel suq. È entrato in un negozio che vendeva un po’ di tutto e lo abbiamo seguito. Abbiamo scoperto che era lì per comprare delle armi. Dobbiamo muoverci, temiamo che possa succedere qualcosa di grave.»
Lo sciamano si accomodò tranquillamente su di una sedia e osservò per un tempo interminabile alcune formiche che, ordinatamente in fila, entravano in una crepa del muro. Poi mi concesse la sua attenzione.
«Hai trovato le spezie?»
«Sì, le ho qui», risposi chiedendomi se stesse ignorando il pericolo o semplicemente non mi avesse sentito. Appoggiai il sacchetto di curry di fronte a lui.
Lo aprì e ne annusò il contenuto. «Se i colori fossero profumati, per me il giallo saprebbe di curcuma. Dimmi, in te che sensazioni ha risvegliato il profumo di questa polvere?»
Restai per un attimo in silenzio, rendendomi conto che non avevo annusato la spezia.
«Nel momento in cui la stavo comprando è comparso Gallardo», dissi cercando di riportare il discorso sul pericolo che incombeva.
«Quindi hai comprato questo curry in fretta.»
Mi guardò severo. «Non hai superato la prova e non sei ancora guarito. Come posso insegnarti qualcosa se il tuo animo è agitato dalla fretta? Ma so che le tue intenzioni sono giuste, quindi ti darò una seconda possibilità. Vai e trova delle spezie, dell’incenso o dei profumi. Scegline alcuni. Mentre li annusi non devi pensare a null’altro che alle sensazioni che risvegliano in te. Il tuo istinto ti guiderà nella decisione.»
Annuii, poi, assieme ad Anaid, uscii dalla cucina. Mentre ci stavamo rimettendo le scarpe Zayd si avvicinò. «E questa volta andrai da solo.»

 

 

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