– Boswellia sacra –
Uscito dalla porta, guardai a destra e a sinistra con circospezione. Feci alcuni passi nella direzione opposta a quella che avevo preso nel precedente tentativo di soddisfare Zayd. Trovai un loggiato al riparo dal fiume di gente e mi fermai. Se lo sciamano mi aveva chiesto di cercare qualcosa di profumato, non era un caso. Avevo imparato dallo studio dell’anatomia del sistema nervoso che le vie olfattive avevano qualcosa di speciale. Ricordavo che gli stimoli derivanti dalle molecole odorose, oltre che alla corteccia cerebrale, dove giungono alla coscienza, vengono condotti direttamente anche al cervello emotivo e al nucleo del setto: le sedi del comportamento esplorativo, delle passioni, delle sensazioni non spiegabili dalla ragione.
Chiusi gli occhi e cercai di allontanare i rumori della strada dalla mente. Restarono gli odori. Come c’era disordine e confusione per vista e udito, così anche l’olfatto per prima cosa fu colpito dalle puzze. L’odore dei condotti fognari saliva dai tombini e si mescolava a quello del sudore della gente. Attesi, sicuro che avrei sentito anche altro.
Una zaffata di pane appena sfornato raggiunse le mie narici, informandomi della presenza di un forno poco distante. Un po’ alla volta iniziai a percepire anche altri aromi nell’aria. Anch’essi sembravano farsi largo in una folla. Una folla di molecole volatili che di respiro in respiro raggiungevano i miei neuroni sensoriali e andavano a creare nella mente visioni sempre più nitide. Una padella in cui soffriggeva della cipolla. Una pentola di peperonata dal coperchio semiaperto. Potevo vedere, a occhi chiusi, ciò che solitamente i muri delle case schermavano dalla vista. Un pavimento lavato con detergenti a base di ammoniaca. Agrumi strizzati per fare un’aranciata. Gli eteri della frutta matura sulle bancarelle. Mano a mano che il tempo passava, la cacofonia iniziale pareva lasciare il posto a una sinfonia di profumi. Accordi di molecole volatili si susseguivano nell’aria come sugli spartiti di un silenzioso concerto. Un bucato appena messo al sole. La lavanda e il rosmarino leggermente canforato. Mi accorsi che in quella musica c’era un motivo che costantemente andava ripetendosi: quasi impercettibile una scia di incenso si dipanava nella strada come un filo di seta. Lo potevo distinguere da quello che bruciava nella casa di Zayd perché più leggero e privo dell’acre nota della combustione. Decisi di seguirlo.
Aprii gli occhi leggermente, senza abbandonare la dimensione che avevo appena scoperto.
A ogni passo si faceva più intenso, guidando il mio girovagare. L’odore fiorito e al contempo resinoso mi faceva immaginare la Boswellia sacra da cui sgorgava la pece aulente. Nella mente vedevo i raccoglitori di incenso che la raschiavano via dal tronco, per poi farla rapprendere e venderla, dando vita a un commercio che aveva inciso sulle sorti dei popoli e degli Stati lungo la Via dell’Incenso.
Arrivai davanti a una piccola stanza che dava sulla strada. Sulle pareti, gli scaffali erano occupati da centinaia di vasi di vetro bruno, ciascuno con la sua etichetta. Dietro a un bancone stava seduto un anziano uomo dal naso adunco. Notai il naso forse perché quando lo vidi ce l’aveva completamente affondato dentro un’ampolla. Sul fondo del contenitore c’era qualche millilitro di liquido paglierino. Sollevò la testa e restò qualche secondo a occhi chiusi. Poi li aprì e mi vide che lo osservavo immobile. Senza scomporsi mi fece cenno di entrare.
«Benvenuto nella mia profumeria», disse in uno spagnolo stentato.
Lo ringraziai ed entrai. Fui avvolto dal profumo di incenso, la cui intensità si fece inebriante.
«Ti ho visto arrivare. Stavi annusando, vero?»
«Sì», ammisi. «Ho trovato il tuo negozio seguendo l’olfatto.»
«Allora voglio chiamarti amico. Che Allah ti benedica.»
«Che Allah benedica i profumieri come te», risposi, cercando di ricambiare l’augurio.
L’uomo sorrise e chiuse l’ampolla. «Stavo componendo un profumo. Lo sai come si compone un profumo?»
Scossi la testa.
«Comporre un profumo è come comporre una musica.»
«È proprio la sensazione che avevo nella strada. I profumi che sentivo nell’aria sembravano una musica.»
«Un maestro profumiere, come un musicista, deve saper andare a tempo. Il tempo, in un profumo, è importante.»
«Non lo sapevo», dissi incantato, mentre il profumiere andava a prendere alcuni vasetti.
«Ogni molecola, in un profumo, evapora con una velocità diversa. Quelle che evaporano per prime si chiamano note di testa. Gli oli essenziali che ho qui te lo spiegheranno meglio del mio spagnolo. I profumi sono una lingua che tutti capiscono.»
Un vaso per volta, mi fece annusare le note di testa. Mi resi conto che per la maggior parte erano agrumate. Oltre a limone, arancia, mandarino e bergamotto erano note di testa anche l’eucalipto e la lavanda.
«Poi ci sono le note di cuore, resistono alcune ore.»
Aprì contenitori che sprigionarono l’odore avvolgente e caldo di rosa, violetta, mughetto, gelsomino, pesca, pera e albicocca.
«Infine le note di fondo. Sono la personalità del profumo. Possono durare anche giorni.»
Gli odori legnosi, resinosi e coriacei del vetiver, del sandalo e del cedro risvegliarono in me ricordi lontani.
«E questo cos’è?», chiesi indicando un vasetto che non aveva aperto. Conteneva alcune palline marroni.
«Questo è muschio. È rilasciato dal Moscus moschiferus. È un piccolo cervo, con delle ghiandole che producono queste sfere. Le fa cadere nella foresta per segnare il territorio e attirare le femmine.»
Feci per aprire il vaso, ma mi fermò.
«Attento, è così potente che per sentirne il profumo è sufficiente annusare il vaso chiuso», disse. Poi, ridacchiando, sembrò cambiare idea. «Se vuoi lo apriamo.»
Svitò il tappo e quando annusai il contenuto fui colpito da una fetore ammoniacale estremamente forte.
Il profumiere con una pinzetta prese un frammento del secreto delle ghiandole del Moscus e sigillò il vaso. Lasciò cadere il frammento odoroso in un becker contenente una soluzione di acqua e alcool. Infine mi mise una goccia della soluzione sulla mano. Un profumo soave mi avvolse.
Dopo che mi fui assuefatto anche all’essenza di muschio notai che nella stanza c’era dell’altro. Un odore sottile compariva e scompariva dandomi la stessa sensazione che avevo provato individuando l’incenso nella via.
«Ti ringrazio per questa lezione sui profumi.»
«Sei il benvenuto. Hai domande?»
«In realtà sì, una cosa vorrei chiedertela. Sento un profumo nell’aria diverso da tutti quelli che mi hai fatto provare.»
«Qui ci sono ancora molti vasi che non abbiamo aperto», disse sorridendo.
«È qualcosa di molto diverso da tutti quelli che ho sentito fino ad ora. Mi ricorda…»
«Sì?», disse incoraggiante.
«Mi ricorda la pioggia. Ma non una pioggia qualsiasi. Mi fa immaginare le prime gocce che bagnano la terra dopo una lunga siccità.»
Si fece serio. «È incredibile. L’hai sentito. È il mio profumo più prezioso. Seguimi.»
Mi portò in un’altra piccola stanza. Le pareti bianche erano molto pulite e non c’era altro che una mensola su cui era appoggiato un grosso contenitore ermetico di vetro trasparente. All’interno di esso era visibile una bottiglia, anch’essa chiusa. In quel luogo il profumo di pioggia era più forte.
Aprì il vaso ed estrasse la bottiglia. Poi, con una torsione del polso, ne tolse il tappo.
L’odore si diffuse nella stanza con l’impeto di un monsone. Prima ancora di razionalizzarne la natura sentii una sensazione nello stomaco e sulla pelle come quella, elettrizzante, che si prova all’arrivo dei temporali.
Dei ricordi si risvegliarono. Ero bambino, disteso a pancia sotto sulla terra riarsa dal sole. Non pioveva da settimane quando le prime gocce iniziarono a cadere dal cielo plumbeo. L’impatto delle grosse sfere d’acqua col suolo sollevava leggeri spruzzi di polvere. Osservai i minuscoli crateri bagnati che si formavano, poi mi voltai, rotolando, a guardare verso l’alto. I cumulonembi si illuminavano violacei. Lampi si susseguivano al loro interno. La mia cassa toracica vibrava per il profondo brontolio del tuono.
«L’odore della pioggia tanto attesa che bagna la secca terra africana. La fragranza della vita stessa. Un profumo così potente che il bestiame assetato ne è attratto da centinaia di metri.»
«È indescrivibile. Non saprei come definirlo se non con le esperienze che mi fa rivivere.»
«Coloro che lo conoscono, lo chiamano Petricore.»
Estrasse da una tasca una boccetta a contagocce. «Desidero donartene un po’, così che la mia benedizione sia sempre con te.»
Riempì una pipetta col fluido trasparente e lo trasferì nel nuovo contenitore.
«Ecco. Non desidero denaro. Solo desidero una cosa. Quando sarai lontano da qui ricorda il buon profumiere di Casablanca. È molto più importante per me.»
Con il prezioso dono in tasca ritornai nella strada del mercato. Sapevo che Zayd sarebbe stato contento, perché io stesso ero contento dell’esperienza che avevo vissuto.
Mi feci largo tra la gente, quasi pensando di essermi abituato a quella situazione, quando vidi il buttafuori che mi aveva trascinato nella strada dal negozio del trafficante di armi. Mi stava indicando e al suo fianco c’era Gallardo. Mi sembrò di cogliere un lampo di stupore sul viso di quest’ultimo, ma fu un attimo, perché subito iniziò a muoversi velocemente nella mia direzione.
La casa di Zayd era un appartamento al primo piano di un palazzo. Per arrivare alla porta d’ingresso dello sciamano bisognava salire delle scale interne al patio dell’edificio. Per accedere al patio era necessario attraversare un portone sempre aperto. Il portone si trovava alle spalle di Gallardo.
I due uomini procedevano spingendo arrogantemente la gente per farsi strada. Realizzai subito che se avessi tentato di raggiungere il portone sarei finito direttamente fra le loro braccia.
Notai che il vocio generale del mercato stava aumentando di volume. Chi era stato spinto pretendeva delle scuse. Ebbi un’idea. Assunsi l’atteggiamento di chi si mette a correre e feci un brusco scatto nel breve spazio libero che avevo dietro di me. Poi mi girai. Avevo ottenuto l’effetto sperato: anche Gallardo e il buttafuori si erano messi a correre, ma per farlo avevano ribaltato una bancarella della frutta e fatto cadere alcune persone. Come in un alveare in cui l’apicoltore avesse maldestramente schiacciato alcune api, la rabbia si diffuse nella folla. Decine di persone si misero a urlare e ad agitare i pugni, raccogliendosi attorno ai due fino a impedir loro di avanzare.
Camminando rasente al muro scivolai oltre alla mischia fino a raggiungere il portone. Varcata la soglia mi voltai a controllare la situazione. Mi resi conto che era repentinamente cambiata. Gallardo, col braccio puntato verso di me, urlava qualcosa in arabo e lo ripeteva in spagnolo. «Ladrón! Ladrón!»
La folla aizzata cominciò a muoversi in mia direzione.
Mi precipitai nel patio e poi su per le scale fino alla porta di Zayd. Cominciai a battere con tutte le mie forze. «Anaid! Apri, mi vogliono linciare!», gridavo.
Dopo interminabili secondi la porta si aprì e mi precipitai dentro, ma prima che venisse richiusa vidi che Gallardo, il buttafuori e numerose altre persone erano già nel patio.
Con le mani sulle ginocchia che tremavano ripresi fiato nel corridoio d’ingresso della casa. Anaid stava chiudendo le serrature e i chiavistelli della porta, mentre Zayd mi guardava con aria serafica.
«Com’è andata questa volta, mio ansioso amico?»
Se la situazione che stavo vivendo non fosse stata reale, l’incomprensibile pacatezza di Zayd mi avrebbe fatto ridere.
Mi fece entrare nuovamente in cucina e insistette affinché mi accomodassi su di una sedia.
«Hai un buonissimo profumo, sono sicuro che al mercato è accaduto qualcosa di bello», disse mettendomi di fronte una tazza per il tè.
Mentre versava l’infuso l’appartamento cominciò a risuonare di pugni battuti sulla porta.
«Ho seguito i profumi che percepivo nella via e ho trovato la bottega di un profumiere.»
«I profumieri sono molto rispettati qui da noi. Lì hai trovato quello che cercavi?»
«Nella mia lingua, l’italiano, per definire il sesto senso si usa dire anche aver naso», affermai cercando di scherzare, ma l’inquietudine, evidente nella voce, dal mio punto di vista rovinò la battuta. Eppure Zayd l’accolse con una cordiale risata.
Un sasso sfondò il vetro della finestra che illuminava la cucina e finì sul tavolo seguito da una pioggia di schegge di vetro.
«Era una delle poche finestre con vetro della casa. Evidentemente non è destino che qui le finestre possano essere chiuse», commentò imperturbabile. «Forse ti è finito qualcosa nel tè, è meglio che tu non lo beva. Ne vuoi un altro?»
Sudando freddo declinai l’offerta nel modo più gentile che mi riuscì. I colpi sulla porta cambiarono di intensità.
«Stanno colpendo la porta con un’ascia», gridò Anaid dal corridoio.
Guardai intensamente lo sciamano e dissi: «Hai un piano per tirarci fuori di qui, vero?»
«Prima parliamo di cose importanti, poi ci pensiamo. Finisci di raccontarmi del tuo incontro col profumiere, ti prego.»
Mi impegnai a mantenere la calma, cercando di imitare il suo aplomb.
«Ho percepito la presenza di un profumo che risvegliava in me emozioni profonde. Me ne ha regalato un campione. Si chiama Petricore.»
«Il Petricore», ripeté ammirato. «Non mi ero sbagliato allora. Quando sei entrato parevi una tempesta primaverile. È un aroma difficile da trovare persino per gli sciamani. Pochissimi al mondo sanno comporre il profumo delle prime gocce che bagnano i confini del Sahara dopo la stagione secca.»
Appoggiai la boccetta sul tavolo ma Zayd, sorridendo, con la mano fece segno di fermarmi. «Per ora ho capito che hai superato la prova. Verrà il momento adatto per liberare il Petricore. Nella lingua degli antichi greci significa pietra e sangue degli dei. Abbine cura.»
Anaid ci raggiunse con lo zaino sulle spalle. Mi porse il mio bagaglio. Alle sue spalle l’ascia trapassò la porta attraverso un primo varco longitudinale.
«Zayd, tu non raccogli le tue cose per il viaggio?»
«Io non possiedo nulla di più di quanto vedi», rispose indicando la stanza spoglia. «Anche voi non avete altro che uno zaino», osservò poi.
«Ma noi siamo in viaggio», ribatté Anaid.
«Non è forse un viaggio la vita stessa?»
Interruppi il momento filosofico facendo notare che un braccio era entrato attraverso la spaccatura nella porta e, a tastoni, stava aprendo i chiavistelli. Zayd era ancora tranquillamente seduto.
«Cosa facciamo?», chiesi.
Zaid guardò le formiche sulla parete. «Facciamo come loro. I formicai hanno sempre delle uscite secondarie.»
Finalmente si alzò. Diede un’occhiata fuori dalla finestra rotta, alla folla che si era radunata nel patio, poi ci accompagnò in un’altra stanza. Aprì un’anta che dava su delle scale interne proprio quando voci e rumore di passi invasero il corridoio all’ingresso della casa.
Ci precipitammo giù per la rampa, mentre egli, silenziosamente, ne chiudeva a chiave l’accesso.
Raggiungemmo un vicolo secondario. Seguimmo Zayd fino a che non ci trovammo nella via principale.
«Avrei sperato di fare un’altra strada», commentai.
Lo sciamano indicò la gente che riempiva la strada e si assembrava in prossimità del portone che avevo varcato per raggiungere la casa.
«Osserva la magia dell’invisibilità», disse divertito. «Tutti guardano in quella direzione. Tutti vogliono vedere cosa ti faranno quegli uomini crudeli. Sono così distratti dalla violenza che nessuno si accorge che tu sei qui, insieme a loro.»
Camminammo indisturbati fino a raggiungere la medina nuova. Un gruppo di turisti si era raccolto attorno a un uomo che promuoveva ad alta voce viaggi organizzati.
«Tutto incluso», gridava. «Vi porteremo con un bus navetta sull’Alto Atlante. Pernottamento di una notte al Kasbah du Toubkal. Potrete ammirare le vette più alte del Marocco. Venite gente, vedrete il cielo notturno più bello del mondo. In questo periodo si vedono le stelle cadenti.»
Ritrovai subito il buon umore e un pizzico di ironia. «Io ho voglia di vedere le stelle cadenti sull’Alto Atlante, e voi?»
Nel giro di mezz’ora le perorazioni dell’operatore turistico erano cessate e, mentre in lontananza cantava il muezzin, salimmo sulla corriera.
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