– Epilogo –
Non appena Zayd si trovò fra le montagne dell’Atlante i suoi poteri di sciamano parvero tornare. Anaid disse di aver percepito chiaramente il ritorno della magia nello spirito di Zayd. Le diedi ragione, anche se sospettavo che lo sciamano non avesse mai perso realmente le sue capacità.
Nel giro di qualche giorno riuscì a rintracciare tutti i membri della Tribù della Figlia del Sole e a radunarli per la cerimonia di restituzione.
Stavano tutti in fila, di fronte a noi. Alle loro spalle il Jbel Toubkal pareva attendere come se fosse esso stesso un membro della tribù.
Presi con ciascuna mano un vaso di Abritonide e mi avvicinai a Jedjiga. Anaid fece lo stesso. Ella ci guardò intensamente, poi ripose le piante nel cesto di vimini retto da una donna che le stava al fianco.
Pose le mani calde sul nostro capo e mormorò alcune parole dal suono soave.
Zayd, facendoci da interprete, disse che con quel gesto ci purificava dal passato e benediceva il nostro futuro.
Dopo una pausa riprese a parlare. Ci disse che la Tribù della Figlia del Sole avrebbe abbandonato per sempre quella valle, per andare alla ricerca di un luogo più sicuro dove custodire la pianta sacra. Prima di partire, però, Jedjiga voleva farci un dono affinché potessimo avere sempre vicina una parte di lei.
Si avvicinò ad Anaid. Mettendo insieme qualche parola spagnola, forse suggeritale da Zayd, le mise al collo un amuleto simile a quello che un tempo ci aveva salvati. «Che la libertà ti accompagni sempre, Leonessa dell’Atlante.»
Poi si avvicinò a me, porgendomi un cilindro di legno scolpito. Prima di mettermelo in mano lo ruotò di centottanta gradi. Uno scroscio leggero, simile a quello delle prime gocce di un temporale, risuonò cristallino.
«Che tu sempre possa parlare con la natura, Spirito della Terra Dissetata.»
Poco dopo le donne e gli uomini della Tribù della Figlia del Sole si misero in cammino. Restammo a guardarli mentre si allontanavano, fino a che non scomparvero fra gli speroni rocciosi.
Pochi giorni dopo terminò il mio periodo Erasmus. Mentre avanzavo nella folla al check in dell’aeroporto di Siviglia, ripensavo alla frase scritta su di un muro vicino all’università. L’Erasmus non è l’anno della tua vita, è la tua vita in un anno.
Appoggiato alla valigia di un viaggiatore poco distante, un giornale attirò la mia attenzione. Gli chiesi di dare un’occhiata al periodico.
Il titolo in prima pagina recitava “Montero Pharma crolla in borsa. La casa farmaceutica dichiara bancarotta”.
Poco prima di passare il gate sentii una voce familiare che mi chiamava. Anaid si stava facendo spazio tra la folla per raggiungermi. Ero stupito di vederla in quel momento.
Quando mi fu vicina estrasse dalla borsetta un plico di fogli.
«La polizia mi ha fatto avere questo. Ho pensato che potrebbe farti piacere riaverlo.»
Era il Trattato di Botanica Sistematica di Hooker, sulle cui pagine erano emersi gli scritti dello studioso ricopiati dal prof. Passaler.
La ringraziai, poi mi feci serio. «Ho letto sul giornale del fallimento dell’azienda. Adesso cosa farai?»
«Sono una leonessa dell’Atlante, ricordi? Me la caverò.»
«Non ho alcun dubbio», risposi pensandolo davvero.
Lanciò un’occhiata alla gente che si accingeva a passare il gate. Poi mi guardò negli occhi.
«Ci rivedremo?»
«Sì. Un giorno ci rivedremo.»
Attese ancora un attimo, taciturna. Infine mi catturò in un lungo abbraccio di addio.
Dopo che l’aereo fu decollato estrassi dallo zaino il dono di Jedjiga. Il minuscolo bastone della pioggia produceva un suono armonico e molto intenso per le sue piccole dimensioni.
Sulla superficie le decorazioni riproducevano nastri intrecciati tra loro. Fantasticai che rappresentassero le foglie di Abritonide. Feci scorrere il dito sul legno liscio e notai uno scalino e un’incisione quasi impercettibile. Non resistetti alla curiosità e applicai una leggera torsione a quello che pareva essere il tappo. Senza sforzo cominciò a svitarsi. Quando si sfilò del tutto, lo appoggiai sulle gambe. Incuriosito, inclinai il cilindro aperto sul palmo della mano. Gli oggetti responsabili del suono simile alla pioggia rotolarono fuori. Erano quattro lucidi semi neri.
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