Istruzioni per selezionare api resistenti alla varroa


animali, apicoltura / giovedì, Dicembre 6th, 2018

Le api resistenti alla varroa sono alla portata di ogni apicoltore

La resistenza alla varroa è data da un tratto genetico presente in circa il 10% degli alveari. In questo articolo descriverò come individuare le api regine resistenti. Il metodo proposto è quello sviluppato dal ricercatore americano John Harbo. Seguendo la sua tecnica, chiunque può incrementare la resistenza alla varroa del proprio apiario. Con una selezione spinta del tratto di resistenza alla varroa, si può arrivare a non avere più la necessità di usare acaricidi chimici.  Selezionare api resistenti inoltre non comporta alcuno svantaggio per l’apicoltura da reddito ma, anzi, una migliore igienicità delle api è correlata a un aumento di forza e produttività della colonia.

 

Quando le api persero la libertà

Nel 1981 si registrò il primo alveare infestato da Varroa destructor in Italia. Quello che sembrava solo un problema dell’apicoltura orientale arrivò in occidente con l’impeto di uno tsunami. La diffusione dell’acaro asiatico riuscì a progredire nonostante i tentativi di contenimento messi in atto e rapidamente si diffuse fino a interessare tutta la penisola. In poco tempo, probabilmente a causa di incauti spostamenti commerciali, il contagio diventò un problema mondiale. Francia, Spagna, Germania seguirono all’Italia in rapida sequenza. Poi USA nel 1987 e il Canada nel 1989. Dal 2000 anche la Nuova Zelanda fu coinvolta e l’Australia, da molti considerata l’isola felice dell’apicoltura libera dalla Varroa, oggi fronteggia un assedio dall’esito incerto: nel 2016 nel Queensland è stato ritrovato un nido di Apis cerana infestato da Varroa.

A causa dell’acaro Varroa la nostra Apis mellifera ha perso la libertà di esistere in maniera indipendente dall’uomo. Gli alveari che non siano adeguatamente seguiti da un apicoltore soccombono in pochi mesi sotto i morsi di Varroa destructor, che si nutre di emolinfa e trasmette virus alle api.
L’arrivo di Varroa destructor ha vincolato l’apicoltura all’industria chimica: per salvare il suo apiario, due volte all’anno l’apicoltore si reca dal commerciante di fiducia e acquista il pesticida del momento. Dopodiché sgancia la bomba chimica nell’alveare, fa strage di un congruo numero di varroe e spera che l’infestazione si mantenga sotto alla soglia critica fino al trattamento successivo.

Varroa destructor al microscopio
acaro Varroa destructor visto al microscopio (superficie addominale)

Il prezzo degli acaricidi

Per ogni trattamento acaricida c’è un prezzo da pagare. I farmaci sistemici come tau-flavulinate e amitraz hanno effetti tossici non trascurabili anche sulle api stesse e lasciano residui nella cera e nel miele (vedi ad esempio i danni dell’amitraz sulla parete intestinale, la riduzione di fertilità e sopravvivenza delle regine e le alterazioni del sistema immunitario delle api esposte al tau-flavulinate.
Nemmeno gli acaricidi approvati nell’apicoltura biologica sono esenti da rischi. Il timolo può indurre il saccheggio, la rimozione della covata e alterazioni del sistema immunitario;
L’acido formico riduce la resistenza alle malattie fungine e batteriche della covata

L’acido ossalico sembra essere l’acaricida con meno effetti avversi, sebbene anch’esso provochi una riduzione dell’aspettativa di vita delle api con cui viene a contatto;  inoltre, per essere efficace, la somministrazione deve avvenire in assenza di covata opercolata.

Oltre a questi problemi di entità non indifferente, l’uso sistematico di acaricidi sintetici porta con sé due conseguenze negative di grande importanza: con questa pratica, infatti, da un lato permettiamo la sopravvivenza di linee genetiche di api che, senza il nostro aiuto, non sarebbero in grado di sopravvivere alla varroa. Lasciamo che i loro geni si diffondano nell’ambiente e ostacoliamo la selezione naturale, che risolverebbe la crisi lasciando in vita solo colonie di api resistenti al parassita.

Contemporaneamente a ciò, attuiamo una pressione selettiva su Varroa destructor, favorendo la sopravvivenza degli individui più virulenti e resistenti agli acaricidi. Esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario per salvare le api.

 

Verso un nuovo tipo di lotta integrata

Una questione di famiglia

Nei primi anni 2000 mio nonno aveva un piccolo apiario di circa dieci arnie. Erano api che si ereditavano in famiglia almeno dagli inizi del ‘900. Dall’arrivo della varroa il nonno trattava gli alveari ogni anno con le “strisce” di tau-flavulinate.
Nel 2005 non gli restava più nemmeno un alveare.
“Sindrome dello spopolamento degli alveari” gli è stato detto. Si attribuiva la causa a fantomatici campi elettromagnetici e ai pesticidi usati in agricoltura. È vero, può essere che i pesticidi abbiano avuto un ruolo rilevante, ma io penso che in questo caso, più semplicemente, il collasso degli alveari sia avvenuto a causa della varroa divenuta resistente al tau-flavulinate.

Oggi ho riportato in vita l’apiario e le api dorate tornano a bottinare sui fiori del giardino. Tengo sotto controllo la varroa con la lotta integrata: timolo, blocco di covata e acido ossalico d’estate; acido ossalico gocciolato d’inverno. Per sicurezza in una postazione uso anche l’amitraz. C’è più consapevolezza e i metodi di controllo della varroatosi sono più efficaci, è vero. Tuttavia si tratta pur sempre di metodi in cui il ruolo fondamentale è svolto dall’acaricida, con una logica che non va molto più in là rispetto a quella che ha portato alla perdita dell’apiario nel 2005.

Queste considerazioni mi hanno convinto della necessità di cambiare approccio nella lotta al parassita. Ero a conoscenza del fatto che in America si stessero selezionando linee di api resistenti alla varroa e questo è stato il punto di partenza su cui ho deciso di costruire un nuovo piano di lotta integrata per il mio apiario.

 

Le api resistenti sono già realtà…

Inizialmente pensavo che la selezione di linee resistenti fosse ancora ambito esclusivo della ricerca scientifica. Poi però ho scoperto che negli Stati Uniti già da anni sono disponibili a livello commerciale stock selezionati per il comportamento igienico. Esistono produttori di api regine specializzati in questo campo, come la Glenn Apiaries.

…ma in Italia sembra di no

Quando però mi sono recato da un importante rivenditore di materiale apistico e ho chiesto se fosse possibile ordinare, per la prossima stagione, regine selezionate per il carattere igienico, mi è stato detto che risultava impossibile trovare fornitori che potessero procurarle. Continuando nella ricerca, mi sono reso conto che in Italia è molto difficile trovare apicoltori che selezionino caratteri precisi delle proprie regine. Nella maggior parte dei casi non si va più in là di una approssimativa selezione massale.

e allora facciamo da soli

Ho deciso quindi di studiare quali siano le procedure per la selezione del carattere di resistenza alla varroa e di riportarle in questo articolo nel modo più semplice e comprensibile possibile. L’auspicio è che molti apicoltori si cimentino in questo tipo di selezione in prima persona: se sul territorio aumenta il numero di colonie selezionate per la resistenza, il carattere viene trasmesso anche alle regine figlie di colonie non specificamente selezionate. Più i geni della resistenza si diffondono nella popolazione generale, più il carattere diventa stabile di generazione in generazione. Oltre a ciò è importante che ogni apicoltore operi la selezione nel piccolo del suo apiario: questo serve a non dipendere da pochi allevatori che, commercializzando e diffondendo solo le proprie linee di api, comporterebbero una riduzione della variabilità genetica dell’ape italiana e, conseguentemente, della sua capacità di adattarsi.

varroa in fase foretica
Varroa in fase foretica: l’acaro resta aggrappato al corpo dell’ape

I geni di resistenza alla varroa

Presso l’istituto del ministero dell’agricoltura americano di Baton Rouge, i ricercatori Thomas Rinderer, John Harbo, Jeffrey Harris e Bob Danka sono stati in grado di individuare una popolazione di api resistenti alla varroa. Queste api presentano un comportamento altamente igienico, espresso da un tratto denominato VSH (Varroa Sensitive Hygiene). Tale comportamento consiste nell’attività di disopercolatura delle celle infestate da varroa in fase di riproduzione. Se si sottopone all’azione di una colonia VSH favi di covata infestata da varroa, si nota, in un primo periodo, la comparsa di numerose cellette vuote in tale covata, dovute all’eliminazione delle larve accompagnate da varroa. In seguito, mano a mano che la popolazione del parassita cala a causa dell’interruzione del suo ciclo riproduttivo, la covata ritorna compatta e, in questo caso, libera dalla varroa.

 

Il tratto VSH: Varroa Sensitive Hygiene

VSH non indica un solo gene, ma un gruppo di geni, legati per la maggior parte al senso dell’olfatto (per un approfondimento sull’olfatto, leggi “le antenne delle api“). Le api riescono così a distinguere l’odore delle celle infestate da varroa e in particolare delle larve infettate dai virus portati dall’acaro.
L’ereditarietà di VSH non segue le regole classiche della genetica mendeliana, ovvero non è un carattere dominante o recessivo. Al contrario, è un tratto poligenico, ereditato in modo quantitativo: significa che il comportamento Varroa Sensitive Hygiene è gradualmente espresso in funzione del numero di alleli VSH presenti nell’animale.
Nella pratica, se una regina figlia di una colonia al 100% VSH si incrocia con fuchi che non presentano il tratto, come può avvenire nella fecondazione naturale, tale regina avrà una progenie al 50% VSH.
Un fatto di rilievo del tratto VSH è che anche colonie con solo il 50% degli alleli VSH esprimono un alto livello di resistenza alla varroa, tale da non rendere necessario il trattamento abbattente con acaricidi.

Strategie di conduzione di un apiario VSH

È teoricamente possibile predisporre in un apiario alcune colonie con regina al 100% VSH e utilizzarne le regine figlie negli alveari da produzione, fecondate in natura con fuchi non selezionati. L’apiario dell’istituto americano, condotto in questo modo, attualmente non necessita di alcun trattamento antivarroa.
Un’altra strategia possibile è saturare gli areali di fecondazione con fuchi figli di regine con alti livelli di VSH.
Il fatto di utilizzare per gli alveari da produzione regine con una percentuale intermedia di alleli VSH non solo rende più semplice la gestione, ma è anche desiderabile: infatti la covata di famiglie con sovraespressione di VSH viene eccessivamente disopercolata, mentre espressioni minori non apportano svantaggi alla colonia.
In generale, a tal proposito, l’aggiunta del tratto VSH non comporta alcuna perdita delle qualità ricercate dall’apicoltore o delle caratteristiche dell’ecotipo, in quanto rappresenta una minuscola frazione del genoma dell’ape.

 

Come selezionare il tratto VSH nella pratica: il metodo Harbo

Il test ideato da John Harbo è un metodo indiretto per la determinazione e quantificazione del carattere VSH in una colonia di api.
I principi su cui si basa sono i seguenti:

 

  1. Una percentuale degli esemplari femminili di Varroa destructor che entrano nella celletta di covata per riprodursi non è fertile perché non dà origine a progenie o non riesce a terminare il ciclo riproduttivo in tempo, prima dello sfarfallamento della covata.
  2. Le api che esprimono il tratto VSH disopercolano le cellette infestate da varroa fertile, in attiva fase riproduttrice, interrompendone il ciclo e facendone morire la progenie. La pressione selettiva esercitata dalle api con questo comportamento fa aumentare la percentuale di varroe infertili, che non si riproducono o che si riproducono troppo tardi.
  3. Contando il numero di cellette con varroa non fertile e mettendolo in rapporto al numero di cellette totali con una e una sola varroa fondatrice si ottiene il Tasso VSH, che, per convenzione, si fa corrispondere alla percentuale di alleli VSH presenti nella colonia. Cellette con più di una varroa fondatrice vanno scartate dal conteggio.

 

Tasso VSH = n° celle con varroe non riproduttive / n° totale di celle infestate da una sola varroa fondatrice

 

Tassi VSH superiori al 25% indicano la presenza di alcuni alleli VSH nella colonia
Tassi VSH attorno al 33% indicano che la metà delle api della colonia possiede alleli VSH
Tassi VSH attorno al 90% indicano un’elevata presenza di alleli VSH nella famiglia

 

Nota bene: Affinché il test sia statisticamente significativo, il n° totale di celle infestate da una e una sola varroa fondatrice deve essere almeno di 30.

Ciò significa che bisogna disopercolare cellette finchè non se ne trova almeno 30 con dentro la varroa, non contando quelle che hanno più di una varroa fondatrice (ovvero quelle dove c’è contemporaneamente più di una varroa madre).

 

Come distinguere le varroe riproduttive e non riproduttive

Una volta disopercolata la celletta e trovata una varroa madre è necessario capire se questa sia in grado di portare a termine il ciclo riproduttivo oppure no. Per poterlo fare è utile una rapida schematizzazione delle fasi di sviluppo dell’ape e della varroa.

Sviluppo preimmaginale dell’ape operaia

  • 10°-11° giorno dalla deposizione dell’uovo (2° giorno dall’opercolatura): stadio 0, propupa;
  • 11°-12° giorno dalla deposizione (3°-4° dall’opercolatura): stadio 1, pupa con occhi bianchi;
  • 13°-14° giorno dalla deposizione (5°-6° dall’opercolatura): stadio 2, pupa con occhi rosa;
  • 15°-17° giorno dalla deposizione (7°-9° dall’opercolatura): stadio 3, pupa con occhi viola;
  • 18°-19° giorno dalla deposizione (10°-12° dall’opercolatura): stadio 4, pupa con occhi neri;
  • 20°-21° giorno dalla deposizione (13° dall’opercolatura): stadio 5, ape nascente;

ape che nasce
covata nascente di ape operaia

Fase riproduttiva di Varroa destructor

  • 8°-9° giorno dalla deposizione dell’uovo: la varroa fondatrice entra nella cella poco prima dell’opercolatura;
  • mediamente dopo 70 ore la varroa fondatrice depone il primo uovo, che darà origine a un maschio aploide (colore chiaro, perlaceo, non chitinizzato, forma rotondeggiante, grande la metà di una femmina adulta;
  • in seguito, ogni 30 ore, deporrà un uovo femminile;
  • dall’uovo femminile nasce una protoninfa (perlacea, rotondeggiante, grande ⅓ dell’adulto);
  • con la prima muta dalla protoninfa origina una deuteroninfa, che sviluppandosi acquisisce forma simile a quella dell’adulto, di colore bianco;
  • con la seconda muta dalla deuteroninfa origina la varroa adulta (l’esoscheletro diventa di tonalità rosse, prima chiare, poi sempre più scure mano a mano che matura);
  • dalla deposizione dell’uovo all’individuo adulto passano 5.5 giorni per la femmina e 6.5 giorni per il maschio;
  • poco prima dello sfarfallamento dell’ape le nuove varroe si accoppiano con il maschio e diventano pronte per la fase foretica.

 

Varroa destructor
Varroa fondatrice: è la varroa madre che entra nella cella per riprodursi [disegni dell’autore]
maschio di Varroa destructor
Maschio di varroa: è simile alla protoninfa e, dal momento che non chitinizza, resta chiaro e si disidrata se la cella viene aperta

 

protoninfa di Varroa destructor
Protoninfa di varroa

 

deuteroninfa di varroa
Deuteroninfa di varroa in fase precoce

 

deuteroninfa di Varroa destructor
Deuteroninfa di varroa in fase tardiva: mano a mano che matura, la deuteroninfa assume la classica forma della varroa. Resta chiara perchè povera di chitina.

 

giovane adulto di Varroa destructor
Giovane adulto di varroa: si riconosce perché più chiara della madre, anche se nel tempo tende a scurirsi

 

Le varroe che non si riproducono

Ai fini dell’individuazione delle varroe non riproduttive il dato fondamentale è che tutte le uova di varroa deposte dal 7° giorno dall’opercolatura (15° giorno dalla deposizione dell’uovo, pupa bianca con occhi viola e ocelli rosa scuro) non faranno in tempo a maturare entro lo sfarfallamento dell’ape e sono destinate a morire. L’ultimo momento utile per deporre il primo uovo femminile (dopo l’uovo maschile) per la varroa è la fase con pupa bianca e occhi rosa.

Per eseguire il test di Harbo quindi si prende un favo con covata che abbia un’età superiore ai 15 giorni dalla deposizione dell’uovo e si disopercola celletta dopo celletta alla ricerca di almeno 30 cellette con una varroa fondatrice.

Si considerano non riproduttive:

  • varroa fondatrice senza progenie;
  • varroa fondatrice con sola progenie femminile (assenza del maschio);
  • varroa fondatrice morta;
  • nello stadio 3 (7°-9° giorno post opercolatura, pupa con occhi viola): varroa fondatrice accompagnata solo da protoninfe o uova e non ancora da deuteroninfe;
  • nello stadio 4 (10°-12° giorno post opercolatura, pupa con occhi neri): la varroa fondatrice è accompagnata da protoninfe e deuteroninfe, ma ancora da nessuna varroa adulta;
  • nello stadio 5 (12°-13° giorno post opercolatura, ape nascente): la varroa fondatrice è accompagnata da protoninfe e deuteroninfe, ma ancora nessuna varroa adulta:

Si considerano riproduttive:

  • nello stadio 3: varroa fondatrice accompagnata da almeno una deuteroninfa;
  • nello stadio 4: varroa fondatrice accompagnata almeno da una figlia adulta;
  • nello stadio 5: varroa fondatrice accompagnata almeno da una figlia adulta;

 

Su quali favi si esegue il test?

La migliore fase di sviluppo della covata per effettuare lo studio è lo stadio 4: solo a partire dal 9° giorno dall’opercolatura infatti il maschio diventa facilmente distinguibile dalla protoninfa femminile.
È desiderabile avere a disposizione un favo di covata con data di deposizione nota e quanto più omogenea possibile. Una strategia è quella di inserire nel mezzo del nido, in un periodo di buono sviluppo della colonia, un telaino costruito, ma vuoto. In poco tempo la regina vi deporrà una rosa di uova grossomodo coetanee.

Per avere una buona probabilità di trovare le 30 varroe fondatrici necessarie in tempi rapidi, è consigliabile eseguire il test quando la popolazione di varroa è più grande, ovvero poco prima del trattamento tampone estivo.

 

Come interpretare il risultato

Il tasso VSH ottenuto non va inteso come un numero assoluto, ma come un valore soggetto a variazioni a seconda del periodo dell’anno, delle importazioni e dello sviluppo della colonia. Pertanto è necessario eseguire il test sulle famiglie scelte come riproduttrici nello stesso momento, in modo da raccogliere dati che fotografino le colonie da confrontare nello stesso istante, in condizioni quanto più omogenee possibile.
Inoltre è bene evitare di eseguire il test su alveari di api ibride (come l’ape di Buckfast), dal momento che, in virtù dell’eterosi, esse presentano vigoria e caratteristiche igieniche superiori alla media, ma instabili nelle generazioni successive. Pur non essendo strettamente necessario, è anche possibile assicurarsi di non utilizzare casualmente ibridi come riproduttori. Lo si fa per mezzo della valutazione di alcune caratteristiche biometriche, che sarà l’argomento di uno dei prossimi articoli.

Quanto è probabile trovare il tratto VSH nel proprio apiario?

Un’obiezione che viene mossa a chi si propone di utilizzare la selezione genetica per ottenere regine resistenti alla varroa è che cercare i geni di resistenza nella popolazione generale di api sarebbe come cercare un ago nel pagliaio. Un’altra obiezione che mi è capitato di sentire è che ci vorrebbero migliaia di anni per ottenere la resistenza. Probabilmente chi ha queste convinzioni confonde il concetto di selezione con quello di evoluzione.
Il tratto VSH è infatti presente nel 10% delle colonie, con un tasso VSH che va dal 10% al 20%. Questo significa che una parte delle api di quella colonia presenta gli alleli VSH. Attuando una pressione selettiva a favore di questo tratto, è possibile, con un lavoro protratto nel tempo, aumentare la quantità di alleli VSH nello stock. Utilizzando come riproduttrici regine le cui colonie presentano i migliori tassi VSH si può raggiungere la soglia del 50%. Disponendo eventualmente di uno strumento per inseminazione strumentale, ci si può infine porre l’obiettivo di selezionare madri F0 con tasso tendente al 100%.

Prospettive

L’aumento del tasso VSH in maniera diffusa in tutti gli apiari sparsi sul territorio permetterebbe di ridimensionare sensibilmente la popolazione di Varroa destructor. Le varroe più fertili verrebbero contro selezionate a favore delle meno virulente e, allo stesso tempo, verrebbero meno i fenomeni di resistenza agli acaricidi. Il trattamento abbattente invernale potrebbe essere mirato a selezionare, all’interno della popolazione VSH, ulteriori e diverse strategie di resistenza, favorendo la riproduzione degli alveari con minor caduta di varroa residua.

A questo proposito è importante ricordare che esistono altri tratti di resistenza alla varroa oltre al VSH, alcuni dei quali sono:

  1. comportamenti igienici selezionati nelle api dalla ricercatrice Marla Spivak;
  2. comportamento di grooming (poligenico);
  3. capacità di segnalare alle compagne la necessità di grooming;
  4. allogrooming (le api si puliscono le une con le altre);
  5. capacità di uccidere la varroa masticandola con le mandibole.

Agendo infine con gli acaricidi in modo mirato, su di una popolazione di varroa ridotta e sensibile, attraverso anche un’adeguata coordinazione tra apicoltori della stessa zona, potrebbe essere possibile creare aree libere dal parassita, resilienti alla reinfestazione, così come è accaduto nel caso dell’isola di Gorgona.

 

Fonti: United States Department of Agricolture, Honey Bee Breeding, Genetics, and Physiology: VSH publications

 

-Federico

 

 

 

9 Replies to “Istruzioni per selezionare api resistenti alla varroa”

  1. Ciao Federico, complimenti per il blog (che ho solo recentemente scoperto) e soprattutto per gli argomenti trattati: molto interessanti e scritti in maniera esaustiva e piacevoli da leggere!!
    Da neo apprendista apicoltore (3 arnie per ora…) trovo veramente affascinanti gli articoli sulle preziose bestioline!!
    Complimenti ancora!

    1. Ciao Pier Giorgio, grazie mille per i complimenti, faccio del mio meglio per trasmettere la passione per le api alle persone:) Complimenti a te per aver iniziato questa meravigliosa avventura, ti porterà molte soddisfazioni!

  2. Veramente molto interessante e molto importante vista la serieta’ del problema. Spero che questa nuova generazione di api si espanda rapidamente e i fuchi arivvino a fecondare le regine di quegli apiari dove l’apicoltore ancora non si rende conto della pericolosita’ del parassita. io ho alcune arnie che seguo con mio fratello, ma viaggiando per lavoro entrambi non abbiamo il tempo necessario per osservarle costantemerte. in un paio di arnie che ho vicino casa ho usato l’acido ossalico gocciolato prima dell’inverno e a primavera sono partite alla grande anche se il tempo e’ negativo spero riescano a farcela per la produzione del mille fiori. Grazie Federico per questo articolo, cooperando con la natura si possono ottenere grandi risultati. Buon lavoro

    Di Flauro Gianmarco

    1. Sarebbe bello che ogni apicoltore cominciasse a cercare il tratto VSH nei propri apiari. Nel momento in cui si raggiunge una massa critica di questi geni sul territorio, diventa possibile che si automantengano e propaghino nel tempo

      1. È vero, questa stagione è stata difficile e molti fattori hanno remato contro al progetto di selezione, ma teniamo duro! 🙂

  3. Ciao complimenti per l articolo ma soprattutto per l intenzione seria di uscire dal vicolo cieco dei trattamenti…siano anche biologici. Ti consiglio di approfondire le tue conoscenze su quanto si sta già facendo in Europa grazie al progetto aristabees….progetto nato su l ape di buckfast ma oggi applicato anche su popolazioni di mellifera e carnica. Anche loro sono partiti dai lavoro di harbo ma hanno fatto interessanti passi avanti

    1. Ciao Livio, grazie mille per il tuo commento: da lettore di L’apis mi sento onorato. Nel mio piccolo sto facendo del mio meglio per perseguire la selezione di api resistenti, ma mi rendo conto sempre di più che a lavorare da solo faccio due passi avanti e uno (o più) indietro. Forse questa visione pessimistica è lo strascico dell’annata relativamente difficile. Una piattaforma di inseminazione strumentale renderebbe tutto molto più efficiente, ma per il momento è fuori budget. Ho scritto questo articolo un po’ anche per aggirare questo limite: se tutti si mettessero a fare un po’ di selezione non servirebbe nemmeno l’inseminazione strumentale e, anzi, si farebbero passi da gigante in breve tempo. Sarebbe bello organizzarsi per cercare le famiglie con la resistenza più spiccata fra tutti gli alveari della zona. Immagina i risultati che si potrebbero ottenere potendo pensare di agire contemporanteamente sui 18000 alveari della provincia. Ti ringrazio davvero per il consiglio, andrò ad approfondire il tema sul sito di Aristabees. Mi dà speranza sapere che sono in atto progetti come questo. Tu per caso sei in contatto con loro? A presto,
      -Federico

  4. Bravo..da anni che faccio questa pratica selezione naturale resistenza. Sono apicoltore hobbysta dal 1997,avevo 13-14 alveari trattati ma alcuni mi morivano sempre prima della stagione,quindi dopo anni ho deciso di dedicarmi a questa selezione,ma con portasciami di legno da 6 telaoni. In passato c ho rimesso soldi,tempo,ma nn m importa,voglio salvaguardare le mie api. Dal 2020 ho 5 famiglie e sto selezionando le più forti. Sinceramente,lo posso giurare,che nn ho mai letto niente su questo,ma ho ragionato molto di logica.. E’ il secondo articolo quasi uguale che lessi anni fa.Gli apicoltori mi criticano ma nn mi è mai interessato. Questa è la mia strada e spero che sia la strada di molti apicoltori.Buona giornata e buon lavoro apistico 💪🙏🇮🇹😊.

  5. Quando ho detto che nn lessi mai su questo è che nn ho mai letto libri o pratiche sulla selezione naturale x la resistenza,sono andato di logica e un po d esperienza passata sulla mia pelle..ma è il secondo articolo che ho letto su questa selezione naturale dopo tanti anni. Ora ho voluto specificare soli dei concetti.un saluto 🐝🐝🇮🇹😊💪.

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