Due pecore smarrite e un’avventura di Natale


animali, bellezza della natura, esplorare il Friuli / domenica, Dicembre 20th, 2020

Questa è la storia di come mi sia trovato a essere protagonista della parabola del buon pastore, il cui copione è stato riproposto dal caso o dalla Provvidenza nel 2020. Anche se ha dell’incredibile, la regia non ha optato per un adattamento in chiave metaforica, ma ha inserito nella mia vita quest’avventura di stampo biblico seguendo alla lettera il testo originale.

Il mio piccolo Eden

Tra le colline di Faedis c’è un luogo speciale, che io chiamo il mio piccolo Eden, raccolto attorno al casolare antico dei nonni. Gli edifici del paese si vedono in lontananza, dove la vallata del torrente Grivò si apre verso la pianura. Il nastro d’acqua accompagna lo sguardo verso l’orizzonte, sollevato dal panneggio del Collio a oriente e decorato dal mosaico della Pianura Friulana a meridione. Laggiù nei giorni limpidi brilla cangiante l’Adriatico, come un filo di seta tra le bocche del Timavo e la laguna di Grado, rendendo indefinibile il confine fra terra e cielo. Dove tramonta il sole, invece, la pianura non si vede: un bosco semiplaniziale si estende per ottocento ettari in un labirinto di rilievi dolci e piccole valli, letti d’argilla e ruscelli sinuosi. Non saprei dire se in questo dedalo ha trovato rifugio anche il Minotauro, ma so per certo che la vita vi scorre forte: le sere d’estate il silenzio è rotto dallo scrocchio dei caprioli, le lepri corrono sui prati del mio piccolo Eden. La volpe si muove furtiva, un tasso rovista tra i rovi in cerca di more. Alcuni cinghiali hanno stabilito la loro casa su di un clivo poco lontano e tra i rami di un albero isolato passa le giornate un grosso falco. È un luogo in cui il tempo non scorre se non per assecondare l’avvicendarsi delle stagioni e l’accrescersi dei tronchi, è la foresta topica delle Chansons de Geste, in cui un paladino potrebbe ancora essere intrappolato nell’eterno presente delle sue imprese.

L’arrivo degli agnelli

Di fronte al poggio delle betulle, dove tengo le api, c’è un pendio che degrada verso il bosco. Un roveto intricato e pieno di spine lo copriva per un migliaio di metri quadri fino a questa primavera, quando decisi di cominciare a trasformarlo in un giardino. Spesso i rovi mi graffiavano le braccia mentre li tagliavo e sembravano avere la meglio sulla lama. Allora mi chiedevo cosa mi fossi messo a fare: non avrei trovato il roveto ardente e Dio a consegnarmi le tavole della legge fra quelle spine, non avrei trovato nulla se non un paesaggio più bello. Ma continuai fino a che la terra non fu libera e senza spini. A quel punto avevo bisogno che qualcuno la presidiasse dal ritorno dei rovi. Era quasi Pasqua e pensai di sapere chi sarebbe stato ben felice di aiutarmi. Con un recinto elettrico circondai il pendio appena liberato, un prato vicino al vigneto e il capanno che mio nonno aveva adibito a legnaia. Liberai parte del capanno dalla legna, accatastandola meglio su di un lato, e coprii il pavimento con una coltre di fieno. Quando tutto fu pronto acquistai gli agnelli e li portai a vivere nel mio piccolo Eden.

Psiche e Neige

Non potrei definire Psiche e Neige, le due pecore, come degli animali da stalla o da allevamento, anche se così sono inquadrate dall’Azianda Sanitaria Locale, e forse nemmeno come degli animali da compagnia. Le definirei piuttosto come custodi del mio piccolo Eden. Certo non propriamente guardiane coraggiose, pronte a difenderlo da chiunque, ma quando la sera, dopo una giornata di studio, raggiungo la collina, ho la sensazione di trovare due entità che la presidiano. Un presidio mite, ma in qualche modo funzionante, da un lato contro intrusioni umane (che in passato hanno fatto scomparire una pianta di arancio), dall’altro dalla natura del bosco, talora troppo selvaggia.
La vita all’aperto, con erba fresca sempre a disposizione e molto spazio per muoversi, le ha fatte crescere rapidamente. La lana che le copre è soffice e pulita e quando si muovono non sembrano altro che morbidi batuffoli a quattro gambe. Hanno un modo di interagire con gli esseri umani così buffo da scaldare il cuore e far sembrare lontano ogni problema. A volte mi guardano con uno sguardo interrogativo, costantemente convinto che abbia le tasche piene di un mangime di cui sono ghiotte. Altre volte sembra che un pensiero importante stia per venir loro in mente, allora si bloccano per qualche minuto come a spremersi le meningi e basta poco per immaginare la clessidra di Windows e la scritta “loading” fluttuare sopra alla loro testa. Ci sono momenti in cui vengono rapite da una felicità improvvisa ed esplodono in una corsa saltellante e gioiosa. È difficile non essere contagiati dalla gioia che trasudano: credo che sarebbero ottimi animali da pet therapy.

Il recinto abbattuto

Nulla turbò l’equilibrio del mio piccolo Eden fino a un mercoledì di inizio dicembre. Appena arrivato sul terrazzamento sovrastante il recinto sentii lo schiocco ritmico della rete elettrificata che scaricava in modo anomalo. Una parte del recinto era stata divelta e giaceva a terra. Delle pecore non c’era traccia. Dopo averle cercate a lungo, una persona mi informò che poche ore prima c’era un cane da caccia nei pressi del recinto e un cacciatore che dal bosco lo chiamava. Non ho prove per ricostruire la dinamica della fuga, ma sono sicuro del fatto che se non fossero state estremamente spaventate non si sarebbero mai avvicinate al perimetro del recinto, tantomeno lo avrebbero superato. Alcune orme, impresse profondamente dove la terra era tenera, testimoniavano che erano fuggite correndo, imprimendo molta energia alle gambe.
Le chiamai a lungo col richiamo al quale rispondono sempre, senza ottenere nulla. Nel farlo scoprii di poter sviluppare un’intensità sonora superiore a quanto pensassi, e il bosco risuonava del mio kulning. Vagai chiamandole senza badare alla nebbia grigio-azzurra che andava accumulandosi nelle conche dei ruscelli e alle forme degli alberi che sfumavano avvolte dal crepuscolo.
Nel silenzio della notte ogni rumore del bosco sembrava amplificato e mi illudevo che fossero Psiche e Neige. Camminavo nella direzione in cui mi sembrava di sentirle, senza poi trovare nessun segno della loro presenza. Cominciavo a temere che avessero fatto la fine della selvaggina, ma la mia preoccupazione più grande era che potessero andare sulla strada e causare un incidente. Per questo periodicamente tornavo indietro e con la macchina perlustravo la statale che passa dietro alla casa dei nonni. Informai del problema i carabinieri, i quali mi assicurarono che mi avrebbero contattato nel caso avessero avuto segnalazioni. Alla fine tornai a casa, pur sapendo che non avrei passato una notte tranquilla. Ripresi le ricerche alle sei del mattino, ma il nuovo giorno invece di portare speranze sembrava aver fatto scomparire ogni possibile traccia di Psiche e Neige. Le orme nei primi metri fuori dal recinto, i fili d’erba calpestati e il racconto sul cane da caccia sembrava che si stessero dissolvendo nella realtà del nuovo giorno come se fossero stati parte di un sogno, di cui restava solo la concretezza del recinto vuoto. Stava prendendo forma la consapevolezza che trovarle in un’area così grande e piena di luoghi nascosti fosse quasi impossibile. Le mie strategie si stavano riducendo a desiderare che fossero in grado di tornare da sole al recinto oppure sperare in un piccolo miracolo o un grande colpo di fortuna. Questa seconda strategia, se così si può chiamare, verso mezzogiorno si realizzò.

Kulning

Un piccolo miracolo

Il cellulare si stava scaricando e non mi aspettavo potesse suonare per altro che per segnalare l’imminente spegnimento. Invece, quando controllai lo schermo, c’era un messaggio del veterinario che aveva visto nascere Psiche e Neige. Scriveva di averle casualmente avvistate fra gli alberi, dove il bosco costeggia la strada che porta al paese vicino. Mi precipitai nel punto che mi era stato descritto, ma senza riuscire a trovarle. Percorrevo su e giù il sentiero che da quel tratto della strada entrava nel bosco, osservavo le pozzanghere cercando le loro orme, ma sembrava che fossero di nuovo scomparse. Anche se stavo perdendo la voce, le chiamai ancora una volta, agitando il sacco del mangime. Quando tornò il silenzio percepii lo scricchiolio di una foglia calpestata: un rumore molto più insignificante rispetto a quelli che mi illudevano la notte precedente, ma che attirò la mia attenzione. Lo seguii correndo verso la sommità della collina che sovrastava il sentiero e infine le vidi che mi guardavano col loro sguardo perplesso. La perplessità scomparve non appena videro la mano piena di mangime e presero a seguirmi al trotto.
Non potendo rischiare di percorrere la strada statale decisi di attraversare il bosco, anche se così facendo avrei allungato il tragitto. Camminavo trionfante a passo di marcia e loro mi seguivano decise. Ormai non avevo molti dubbi sul fatto di poter coprire con poco sforzo gli ultimi quattro chilometri che ci separavano dal recinto.

La lotta della domesticazione

Tutto sembrava filare liscio quando di punto in bianco un’espressione di paura comparve sul muso di Psiche e Neige. Si bloccarono e non vollero più muovere un passo. Provai a spingerle, poi a tirarle per il pelo, ma non c’era verso di farle camminare. Probabilmente il giorno precedente erano state inseguite fino a quel tratto. Le convinsi a tornare indietro, cosa che fecero per un po’, ma poi, spaventate dai rumori delle auto che transitavano sulla la strada, decisero che sarebbe stato troppo pericoloso passare da quella parte. Ero d’accordo con loro, ma non sapevo come fare. Dal momento che non volevano muoversi con le buone, le presi per le orecchie e provai a procedere così. Ma il pensiero che avevano chiaro in mente era “piuttosto di andare da quella parte rinunciamo alle nostre orecchie” e fu impossibile lottare così contro la loro massa di 50 kg ciascuna che tirava dalla parte opposta. Quando le lasciai scapparono di nuovo verso la collina dove le avevo trovate.
Ci volle un po’ per riconquistare la loro fiducia. Quando fui abbastanza vicino, arpionai il pelo di Psiche deciso a non lasciarla a nessun costo. Sapevo che mi restava un’unica possibilità, ovvero portarla sulle spalle. Speravo di riuscire a farlo con Psiche perché, come dice il nome, è la più intelligente delle due e si sarebbe ribellata di meno. Neige poi mi avrebbe seguito volente o no grazie al semplice istinto gregario, per il quale la paura di restare da sola è peggiore di qualsiasi altra. Con uno sforzo riuscii a prenderla in braccio e poi a metterla con la pancia su di una spalla. Mentre cercavo di passarla sull’altra spalla però cominciò a contorcersi e a colpirmi con gli zoccoli e crollai a terra.
Restai immobile in affanno per un po’, ma prima che potesse scapparmi avevo afferrato una gamba di Psiche e la partita era ancora aperta.
Quando mi fui ripreso la guardai con occhi probabilmente iniettati di sangue e la fronte sudata e cacciai un urlo.
«Diecimila anni che ti alleviamo e tu non ti lasci prendere? Non sarò il primo uomo nella storia della domesticazione degli ovini a farsi sottomettere da te, capito?»
Psiche mi guardò con lo sguardo che più che altro diceva «Che c@√√Ω vuoi da me?»
Mi misi in ginocchio, con tutte le forze che mi restavano nelle braccia sollevai Psiche e me la portai con decisione sulle spalle, poi le immobilizzai le gambe stringendole tra le mani. All’improvviso sentii che non opponeva più resistenza: era come se la sua natura di animale docile si fosse da un momento all’altro attivata. La domesticazione aveva vinto! Con i quadricipiti che bruciavano mi alzai in piedi e lanciai uno sguardo di sfida a Neige, che mi guardava incredula, con un evidente fumetto pieno di punti di domanda e la scritta «WTF?» sopra alla testa.
Mi misi in marcia e, come previsto, Neige fu costretta a seguirmi. All’inizio andava a destra e a sinistra e chiamava Psiche, disperata per il fatto che non potesse fuggire con lei, ma dopo un po’ si rassegnò a camminarmi al fianco.

Neige immersa in uno dei suoi pensieri

Il piccolo miracolo continua

A metà strada, nel mezzo del bosco, dove il sentiero si inerpica verso la radura della grande quercia, finì di compiersi il piccolo miracolo, che evidentemente non era ancora concluso. Questa volta non a mio beneficio, né a beneficio di Psiche (che in quel momento faceva dei ruttini palesemente nauseata dal mezzo di trasporto) o di Neige, ma di un’altra persona che passava di lì. Non chiedetemi come sia possibile che in un bosco sperduto e labirintico ci sia tanto traffico e che in un’area così vasta ci si possa incrociare. Come ho detto prima, ho il dubbio che molti cavalieri e paladini di leggende del passato siano ancora sperduti là dentro, vagando in cerca di imprese eroiche. In secondo luogo in quel momento ero troppo concentrato nel mettere un piede davanti all’altro e la fatica mi aveva portato in uno stato in cui non intendevo problematizzare molto quello che accadeva. Il fatto che il caso o la provvidenza mi stessero facendo attuare nel 2020 la parabola del buon pastore seguendo il copione originale alla lettera ormai non mi stupiva più eccessivamente: a me bastava aver ritrovato i miei animali. Credo tuttavia che il signore sulla bici che sostava lungo il sentiero non sia stato altrettanto apatico. Quando mi vide sgranò gli occhi e mi guardò con un’aria più incredula e confusa di quella che aveva Neige quando avevo sollevato Psiche. Prima che riuscissi ad allontanarmi mi chiese di potermi fotografare, come prova di non soffrire di allucinazioni o aver avuto un visione mistica.
Non so cos’abbia pensato e quali siano le conseguenze nei suoi pensieri di ciò che ha visto, ma mi piace pensare a quanto è accaduto come a un piccolo miracolo di Natale, servito a creare un anello di una catena di eventi che abbia portato a realizzarsi qualcosa di buono.

Country roads, take me home

Il resto della storia vede un me completamente stremato raggiungere il recinto e gridare di gioia, per poi rendersi conto di aver immediato bisogno di una lunga doccia calda e diverse ore di letto. Una Psiche che, senza aspettare nemmeno la doccia, si mette subito a letto nel fieno, a testa bassa, per smaltire la nausea. Infine una Neige con la lingua fuori e il fiatone, guardarsi in giro stanca ma soddisfatta, con l’espressione compiaciuta di chi ce l’ha fatta e si sente proprio in gamba per aver risolto una situazione difficile.

Buon Natale

–Federico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *