In questo articolo descriverò un metodo per purificare la cera d’api, con alta resa e mezzi semplici, reperibili in cucina. Il problema principale che si riscontra di solito è la difficoltà nel separare la cera dalle impurità chiamate “feccia della cera”. Nelle prossime righe parlerò di come minimizzare la feccia residua ed estrarre una cera d’api il più pulita possibile. È un metodo adatto a trattare volumi di cera contenuti, utile qualora non si disponga di sceratrice.
Cera d’api, risorsa preziosa
Per un apicoltore la cera d’api è una risorsa preziosa. Alle api servono dagli 8 ai 10 kg di miele per produrre 1 kg di cera. Già sul piano meramente economico questo può dare un’idea del suo valore intrinseco. A ciò si aggiunge la varietà di utilizzi a cui può essere destinata:
- Fogli cerei: sono lo scopo principale della raccolta della cera per l’apicoltore. I fogli cerei sono la matrice con pattern esagonale su cui le api costruiscono le cellette nell’apicoltura razionale. Facilitano le api nel loro lavoro di carpenteria e facilitano l’apicoltore, che così ottiene favi costruiti su telaini estraibili dall’arnia e una maggior quantità di api operaie in rapporto ai fuchi. È importante il ricambio annuale di una percentuale di favi nell’alveare, per ridurre la carica di eventuali microorganismi dannosi per le api. Per questo gli apicoltori hanno un’esigenza continua di cera.
- Impiego nell’industria farmaceutica: la cera d’api, denominata in farmacopea cera alba, ha molti impieghi nobili relativi alla salute umana, da componente per il rivestimento di pastiglie a ingrediente base di creme e altri cosmetici.
- Preparazione di saponi: sempre nell’ambito cosmetico, l’utilizzo della cera d’api nella preparazione del sapone permette di ottenere un prodotto meno aggressivo e adatto a creare un film protettivo sulla pelle.
- Fra gli alimenti la si trova utilizzata per ricoprire alcuni formaggi, durante la stagionatura;
- È alla base di prodotti per la lucidatura del legno: non ci sono prodotti che donino un aspetto così liscio e riflettente al legno come la cera d’api.
- Per la produzione di candele: è sempre più raro trovare candele in pura cera d’api. Anche quando vengono vendute come candele di cera d’api, spesso questa è tagliata con percentuali elevate di paraffina, cera di soia o altri oli. Una candela di pura cera d’api ha proprietà inimitabili: una luce calda come quella del sole, le cui tonalità possono variare in base alle fioriture su cui hanno bottinato le api, una durata più lunga della paraffina, la scarsa tendenza a gocciolare e la quasi assenza di fumo.
Cera di favo e cera d’opercolo
Per tutti questi motivi ogni volta che c’è un surplus di cera è importante cercare di recuperarlo. Questo surplus si verifica nel momento in cui l’apicoltore sostituisce vecchi favi con nuovi fogli cerei, oppure nel momento della smielatura. È questa seconda occasione che fornisce la cera di migliore qualità, ovvero la cera d’opercolo. Gli opercoli sono i piccoli tappi di cera con cui le api coprono le cellette una volta piene. Per estrarre il miele dai favi, prima della centrifugazione è necessario tagliare via gli opercoli. La cera di cui sono fatti è particolarmente pura e ha un colore che varia a seconda delle fioriture: giallo limone quella prodotta dal nettare di tarassaco, bianco avorio durante fioritura dell’acacia (Robinia pseudoacacia) o giallo ambra sul castagno.
Per ottenere il blocco di cera che possa essere lavorato non basta la semplice fusione, in quanto sia il favo che gli opercoli contengono delle componenti da cui la cera deve essere separata. Per ottenere questo risultato gli apicoltori professionisti si dotano di sceratrici a vapore o sceratrici solari, tuttavia con qualche accortezza è possibile ottenere un risultato paragonabile con gli strumenti di cui dispone ogni cucina.
Gli errori da cui ho imparato
Le componenti da cui bisogna separare la cera sono essenzialmente le esuvie delle api, nel caso dei favi che hanno contenuto covata. Tuttavia anche gli opercoli hanno una struttura che non è di sola cera. Osservando il residuo della purificazione si può ipotizzare che assieme alla cera presentino un ordito di filamenti serici che ne migliora le proprietà meccaniche.
I miei primi esperimenti di purificazione della cera si basarono sull’assunto che queste componenti di scarto fossero idrofile, a differenza della cera, idrofoba e più leggera dell’acqua. Pertanto mettevo i favi o gli opercoli direttamente nell’acqua e la portavo a ebollizione. In parte riuscivo a recuperare della cera purificata, ma una certa quantità rimaneva legata al materiale di scarto, sotto forma di una massa di granuli e micelle in cui la cera formava una grossolana emulsione con l’acqua.
Inizialmente pensai che il problema fosse solo dei favi di covata e che alcuni prodotti di scarto degli stadi preimmaginali dell’ape avessero la proprietà di emulsionare cera e acqua. Tuttavia il problema si ripeteva trattando gli opercoli nello stesso modo. Prima che vi chiediate come mai mi ostinassi a mettere a contatto cera e acqua, era perché ritenevo che non disponendo di un filtro professionale non avessi altro modo per ottenere una buona purificazione. Questa convinzione derivava da un primo tentativo di fusione diretta degli opercoli, senza acqua: tracce di miele e altri residui continuavano a persistere nella massa di cera e sembrava non esserci modo di separarli.
Fu con l’arrivo dell’inverno, vicino al tepore della stufa a legna, che mi resi conto della possibilità di raggiungere un buon livello di purificazione della cera in cucina. Il metodo si basa sulla possibilità di disporre di temperature di 80-100 gradi per tempi prolungati e sfruttare in primo luogo la decantazione e in un secondo tempo una filtrazione semplice.
Estrarre la cera d’api: la tecnica che funziona
Prima fase: in primo luogo è necessario che gli opercoli siano puliti e asciutti. Nell’epoca del raccolto, dopo aver smielato e aver estratto il miele residuo dagli opercoli (o con la centrifuga o lasciandoli sul filtro di un maturatore) li lavo. L’acqua del primo lavaggio, concentrata e molto ricca di miele, la metto in frigo per berla. Faccio poi ancora uno o due lavaggi degli opercoli, mescolando finché non sono ridotti a una polvere di scaglie frammentate. L’acqua in questo caso non la recupero, mentre la polvere di opercoli prima lascio che sgoccioli sul filtro del maturatore, poi la metto ad asciugare su di un telo di cotone.
Seconda fase: Una volta asciutta, faccio fondere la polvere di opercoli a bagnomaria. La particolarità di questa fase è la lentezza: sulla piastra della stufa a legna trovo il punto con la temperatura giusta, tale da far avvicinare l’acqua contenuta nella pentola esterna alla temperatura di ebollizione, senza mai farla bollire in modo vigoroso. Dal momento in cui la cera nella pentola interna è completamente fusa, lascio trascorrere un paio d’ore. In questo lasso di tempo le impurità della cera si depositano sul fondo della pentola interna per decantazione. Affinché la decantazione avvenga, all’interno della cera fusa non devono esserci moti convettivi troppo intensi: per questo la temperatura ideale è di poco superiore al punto di fusione della cera. La pentola interna perfetta sarebbe di forma tronco-conica, con fondo stretto e imboccatura ampia, in modo che le impurità si depositino e compattino meglio alla base e non si muovano nel momento in cui si andrà a versare.
Terza fase: verso la cera fusa nello stampo attraverso un colino metallico a maglie fini. Se la decantazione è avvenuta correttamente, nel colino non dovrebbero accumularsi residui finché non si comincia a versare il contenuto del fondo della pentola.
Infine, per recuperare tutta la cera ancora mescolata alle impurità accumulate sul fondo, si trasferisce questa massa, chiamata “feccia della cera” in un colino abbastanza capiente. Il colino con la feccia va messo in una pentola pulita, di nuovo a bagnomaria, in modo che la cera resti fusa e per gravità percoli attraverso la maglia di metallo, lasciandosi dietro solo le impurità.
Conclusione
Con questo metodo si riesce a purificare la cera con un’ottima resa, senza la necessità di sceratrici professionali o filtri a pressione. Gli strumenti sono molto semplici e si trovano tutti in cucina. L’ideale sarebbe avere una stufa a legna, che permette di risparmiare gas, ma il tutto si può fare anche sui fornelli, purché si tenga il bagnomaria a temperatura prossima e non superiore all’ebollizione dell’acqua. Infine, dato che con questo articolo mi sto attirando contro l’ira dei conviventi di noi apicoltori, che giustamente vorrebbero evitare di mangiare pastasciutta alla cera d’api, il prima possibile scriverò a proposito di un metodo efficace e molto semplice per togliere la cera da superfici e stoviglie varie.
A presto,
-Federico
Ottimo articolo, se hai immagini dovresti mettere qualche foto.
Grazie mille! Ho provato a fare qualche foto ma esteticamente non mi piacevano molto, magari tornerò a farne qualcuna la prossima volta che purifico della cera 🙂
Buon lavoro proverò ho stufa a legna …grazie
Per le pulizia delle stoviglie? Grazie aspetto fiduciosa Carlamaria
Ciao! Per pulire stoviglie e fornelli io utilizzo un cannello a gas (i bruciatori bunsen da laboratorio oppure i bruciatori usati per caramellare la crema catalana). Con la fiammma sciolgo la cera e poi la asporto con della carta assorbente… ovvimante con molta attenzione a non dare fuoco alla cucina 😉