Le formiche sono una presenza costante nella nostra vita e, proprio per questo, spesso passano inosservate. Come molto di ciò che appartiene alla quotidianità, tendono a mimetizzarsi fra mille altri pensieri e a scivolare nell’oblio dell’abitudine, almeno fino a che non diventano un problema per il quieto vivere. Ad esempio nel caso in cui dalle verticali autostrade di puntini neri sui muri si distacchi una risoluta legione che metta sotto assedio la cucina. Da questi sporadici attacchi alla pace domestica deriva quel moderato senso di antipatia che molte persone provano nei confronti delle formiche e che le spinge a piazzare, nei vari angoli della casa, scatoline di veleno purtroppo non altrettanto moderate.
Questo articolo, arricchito con testi tratti dal libro “La vita delle Formiche” di Maeterlinck, è un invito a osservare tali insetti sociali anche quando non attirano l’attenzione scorrazzando sulla tovaglia. Ho collezionato alcune curiosità sulla loro vita e le ho sparse qua e là tra le righe come briciole, così che, raccogliendole, si scopra che abbiamo in comune con le formiche molto di più di quanto si possa credere. Imparando a conoscerle un po’ meglio, ci si rende conto dell’assurdità che è sterminare i formicai con i pesticidi. Esistono infatti altri metodi che possiamo usare se vogliamo allontanarle dalle nostre abitazioni. Il vero scopo delle parole che voglio condividere è però quello di far nascere l’interesse per queste piccole creature, nostre compagne nella vera casa che è la Terra. Dalla conoscenza di esseri così straordinari non può che crescere nel cuore un sentimento di rispetto.
Quando le formiche comparvero sulla terra
i dinosauri popolavano la natura del Cretaceo. È in quest’epoca remota, tra 140 e 160 milioni di anni fa, che avvenne il passaggio della speciazione che portò alla nascita delle formiche. Una specie di vespa solitaria perse l’attitudine al volo e acquisì un comportamento arboricolo.
Studiando l’evoluzione delle formiche, alcuni mirmecologi, in particolare Wheeler, notarono una curiosa coincidenza: vi si intravedrebbero infatti gli stadi della parabola evolutiva umana. In un primo tempo le formiche furono cacciatrici dal regime entomofago: non si cibavano che della carne di altri insetti. Passarono poi ad abitudini pastorali: svilupparono il comportamento afidicolo, che conservano ancora oggi. Se si osserva gli steli delle rose in giardino, non è raro notare formiche che si prendono cura di gruppi di afidi e ne raccolgono i secreti zuccherini. Infine scoprirono l’agricoltura: esistono infatti alcune specie di formiche definite “fungaiole”, ovvero dedite all’allevamento di funghi di cui si nutrono.
La fondazione della colonia
Nel corso dell’evoluzione non persero mai del tutto la capacità di volare. È il volo, infatti, il momento in cui nasce il nuovo formicaio. Dalla primavera all’autunno inoltrato può capitare di vedere nuvole di insetti spostarsi nell’aria con movimenti d’ameba. Verso il basso o verso l’alto, seguendo le correnti calde dell’aria o i passi di una segreta danza, nello scintillio di migliaia di ali avvengono i voli nuziali. Le così dette “formiche volanti” altro non sono che le regine vergini e i maschi che, sulla base di qualche misterioso accordo, sfarfallano dai formicai di un’area geografica in contemporanea, negli stessi giorni.
Terminati i voli nuziali le giovani regine perdono le ali e si ritirano in un anfratto della terra.
La fondazione della colonia, che sovente si conclude con un disastro, è uno degli episodi più patetici ed eroici della vita degli insetti, scrive Maeterlinck. Colei che sarà la madre di un popolo innumerevole si sprofonda dunque nella terra, e vi si modella una stretta prigione. Essa non possiede se non quei viveri che ha nel suo corpo: una piccola provvista di rugiada mellificata e i potenti muscoli delle sue ali sacrificate, che verranno completamente riassorbiti. Niente penetra nel suo sepolcro, se non quel poco di umidità derivante dalle piogge. Alla fine qualche uovo si sparge attorno a lei. Da questi usciranno delle larve, che tesseranno il proprio bozzolo. Chi le nutrirà? Non altri che la madre, dato che la celletta è chiusa a tutto. In capo a cinque mesi di sepoltura la madre non ne può più, ormai è ridotta a uno scheletro. Comincia a questo punto l’orribile tragedia. Prossima a perire, vittima di una morte che annienterebbe in un istante tutto l’avvenire che va preparandosi, ella si risolve a divorare una o due delle sue uova, cosa che le restituisce la forza per deporne tre o quattro. Così, tra parti e infanticidi, tre passi avanti e due indietro, ma guadagnando regolarmente terreno sulla morte, il funereo dramma si svolge per quasi un’anno, fino a quando le prime operaie andranno in cerca di viveri da portare alla madre. A partire da quest’istante essa non lavorerà più e non si occuperà d’altro che di deporre uova. I tempi eroici sono ormai alle spalle e l’abbondanza e la prosperità si sostituiscono alla carestia. La prigione si fa più spaziosa e diventa una città, che di anno in anno si allarga nel sottosuolo, in un traforo infinito di corridoi e ramificazioni.
La città delle formiche e l’appartamento in affitto
Ogni piano del formicaio ha la sua particolare destinazione, determinata soprattutto dalla temperatura: le parti più calde sono destinate all’allevamento. È esperienza comune degli apicoltori trovare una di queste stanze nel solaio degli alveari, tra il coprifavo e il tetto. Quando, durante l’ispezione dell’arnia, l’apicoltore scopre la massa brulicante di formiche sulla cassa consacrata a dimora per le api, è portato a pensare che esse siano lì per rubare il miele. In realtà non apportano alcun danno alle api, che sanno ben difendere il loro regno da visite indesiderate. Osservando bene, vedrebbe le nere operaie impegnate a riprendersi dallo spavento e a mettere in salvo centinaia di piccoli bozzoli bianchi. Se proprio non vuole intrusi, l’apicoltore può allontanare le formiche dalle arnie con metodi naturali, ma alla fine la cosa migliore è accettare gli equilibri della natura, che sa trasformare ogni spazio vuoto in casa accogliente per qualche creatura. Qui le formiche prodigano alle uova attenzioni di ogni genere e le leccano instancabilmente onde nutrirle per endosmosi. Curano le larve e le ninfe, che vanno voltate e rivoltate, e continuamente spostate ed esposte a seconda dei momenti nei punti più favorevoli.
In ogni sala, corridoio e ramificazione del formicaio vi è il chiacchiericcio silenzioso di un dialogo continuo, costituito dagli odori e dall‘antennamento, il complesso linguaggio fatto di reciproci colpetti d’antenna. Vi è il servizio alle madri, che assorbe molte energie, dovendo queste essere guidate, sorvegliate, intensamente nutrite, lavate e accarezzate. Vi è la pulizia personale e reciproca, essendo la formica di un igiene maniacale. Essa dunque, con l’aiuto delle compagne, si pettina, si friziona, si lucida decine di volte al giorno. Vi sono infine i giochi e le lotte amichevoli, piccoli combattimenti sportivi e bonari segnalati da Huber, le osservazioni del quale, reputate in un primo momento frutto dell’immaginazione, furono poi confermate da Forel.
Ecco le parole dolci e piene di stupore con cui Huber descrisse questa osservazione:
Mi accostai un giorno ai loro formicai, esposti al sole e protetti dal lato nord. Le formiche vi stavano ammassate in gran quantità e parevano apprezzare la temperatura che trovavano sulla superficie del nido. Nessuna di loro stava lavorando. Quella folla di insetti ammucchiati dava l’idea di un liquido in ebollizione, e gli occhi in un primo momento stentavano a fissarvisi. Quando tuttavia mi concentravo a seguire le formiche una per una, le vedevo avvicinarsi tra loro, agitando le antenne con incredibile velocità, e sfiorarsi a movimenti leggeri, con le zampe anteriori, le parti laterali della testa. Dopo quei primi gesti, che parevano carezze, le vedevo alzarsi sulle zampe posteriori, a due a due, e lottare insieme, subito poi lasciandosi e riafferrandosi. Si prendevano reciprocamente, si abbracciavano, si capovolgevano e si alzavano a volta a volta per avere la loro rivincita, a quanto pare senza farsi del male. Non trattenevano le avversarie con quell’ostinazione che si osserva nelle liti serie. Mollavano subito le formiche imprigionate e tentavano di acchiapparne altre. E la lotta aveva termine soltanto quando la meno animosa, dopo aver rovesciato l’antagonista, riusciva a svignarsela in qualche galleria. Tornai sovente a quel formicaio, che mi presentava sempre lo stesso spettacolo. A volte quello stato di cose era generalizzato. Dappertutto si formavano gruppi di formiche in gioco tra loro.
La generosità delle formiche
Pur essendo descritte nelle favole di Esopo come l’emblema della parsimonia e dell’avarizia, la reale natura delle formiche è tutt’altra. Maeterlink non risparmia aggettivi per far crollare questo falso mito e, rifacendosi agli studi di Huber afferma: la formica è incontestabilmente uno degli esseri più nobili, più ardimentosi, più caritatevoli, più devoti e altruisti, più generosi che la Terra conosca. D’altronde essa non ha in ciò merito alcuno, non più di quanto ne abbiamo noi nel dirci a buon diritto il fenomeno più intelligente che percorre il pianeta. Noi non dobbiamo questo vantaggio che ad un organo mostruosamente sviluppato di cui la natura ci ha forniti, così come la formica è debitrice delle virtù che abbiamo enumerate a un organo d’altro ordine, del quale l’ha dotata eccezionalmente la natura.
La tasca sociale
La formica possiede infatti all’entrata dell’addome una tasca straordinaria, che si potrebbe chiamare la tasca o il gozzo sociale. Questa tasca non è uno stomaco: non contiene alcuna ghiandola digestiva e gli alimenti che vi si accumulano vi si conservano inalterati. Il sacco in questione, pieno di una sorta di rugiada zuccherina, è un otre collettivo riservato unicamente alla comunità. Quando una formica ha fame, sollecita con le antenne una compagna, che le fornisce un po’ della melata contenuta nella tasca sociale. Questo comportamento, chiamato trofallassi, è l’atto fondamentale da cui derivano la vita sociale, le virtù, la morale e la politica del formicaio, allo stesso modo in cui quanto ci distingue dagli altri esseri viventi sulla terra deriva dal nostro cervello.
La società del dono
Tutto ciò di cui la formica va in cerca e che accumula senza tregua, non è dedicato che alla tasca della comunità. Per lei il dono del cibo deve essere un atto suscitatore della stessa delizia che noi proveremmo degustando i piatti più rari. La formica, nell’atto del rigurgitare, con le antenne gettate indietro, come rileva Auguste Forel, assume un’aria estasiata e prova chiaramente più piacere di quella che si riempie di melata.
Incidentalmente, è interessante notare come i tre insetti che superano di gran lunga per civiltà gli altri possiedano un organo collettivo o sociale che, se anche non identico, svolge funzioni analoghe. È infatti tramite il rigurgito, in questo caso stomacale, che le api nutrono le loro ninfe e regine. Tutto il miele presente nell’alveare d’altronde non è che un nettare collettivo rigurgitato. Nelle termiti l’organo altruista è talora lo stomaco, ma più spesso il ventre. V’è qualche collegamento tra l’altruismo più o meno completo di quest’organo e il grado di civiltà delle tre specie? Non saprei, ma ove si dovesse paragonarle tra loro, metterei avanti a tutti la formica, poi la termite e per ultima infine, nonostante il prestigio della sua vita sfolgorante, i prodigi delle sue costruzioni, della sua cera e del suo miele, la nostra ape domestica.
Immaginiamo per un attimo di possedere noi pure un organo più o meno simile. Che cosa sarebbe l’umanità se non avesse altra preoccupazione, altro ideale, altra ragione di vita che il dono di sé e la felicità degli altri? Un’umanità dove lavorare soltanto per il prossimo, e dove il sacrificio continuo e totale fosse la sola gioia possibile, la felicità essenziale, in altre parole la voluttà suprema, di cui non scorgiamo che un lampo fuggitivo nell’amore?
Anche noi abbiamo un organo altruista, ma a un altro livello: lo possediamo nello spirito e talora nel cuore. Tuttavia, non essendo tale organo fisico, spesso rimane senza efficacia.
La repubblica delle madri
Principi generali…
Esiste un’altro principio universale che regola il piccolo mondo del formicaio: si tratta del comune affetto per le larve. Seppur vergini, tutte le formiche si sentono delegate a essere madri più profondamente e appassionatamente della reale genitrice. Strappate l’addome a un’operaia che stia tentando di salvare un bozzolo, ove ne abbiate l’odioso coraggio, e vedrete come ella, senza mollare la presa, continuerà il suo cammino e non consentirà a morire se non quando la larva o la ninfa, che rappresentano per lei l’avvenire, non saranno al sicuro. È questo l’istinto comune che regola la colonia.
…e libertà individuali
Dai principi generali che guidano in blocco i destini del formicaio, emergono una massa di attività individuali che possono influenzare il suo futuro. Come nella nostra storia, si mostra, nella fatalità, una certa libertà. Per rendersi conto è sufficiente osservare il loro lavoro.
Ancora una volta Huber offre un’incantevole descrizione del piccolo mondo
È specialmente quando le formiche cominciano qualche impresa che si ha l’impressione di veder nascere un’idea nel loro spirito, e realizzarsi poi nell’esecuzione. Così quando una di loro trova sul nido due fili d’erba incrociati, tali da favorire la creazione di un loggiato, o qualche ramoscello che delinei gli angoli e i bordi, la si vede vagliare le parti di quest’insieme, disporre poi con notevole coerenza e abilità dei grani di terra nei punti vuoti e lungo i fusti, e prendere un po’ ovunque i materiali più convenienti, talvolta senza neanche rispettare l’opera cominciata da altri, tanto essa è dominata dall’idea da lei concepita, e che porta avanti senza distrarsi. Va, viene, ritorna, fino a che non sia riuscita a rendere percepibile il suo progetto ad altre formiche.
In un’altra parte del formicaio diversi fili di paglia parevano messi come a costituire l’intelaiatura del tetto di una grande capanna: un’operaia si rese conto del vantaggio rappresentato da tale disposizione; l’industrioso insetto mise prima di tutto della terra agli angoli di questa intelaiatura, e lungo le travicelle di cui era formata; la stessa dispose poi diverse file di quei materiali le une contro le altre, così che il tetto della capanna cominciò a proliferarsi nettamente. Ad un tratto si accorse della possibilità di valersi di un’altra pianta per appoggiarvi un muro verticale, e immediatamente ne creò le fondamenta. Essendo nel frattempo sopraggiunte altre formiche, tutte insieme conclusero i lavori iniziati dalla prima.
L’intelligenza del formicaio
È possibile osservare che la debole porzione di intelligenza individuale di cui dispongono gli imenotteri viene moltiplicata dalle leggi dell’imitazione e dell’accumulazione. Contrariamente a ciò che accade nelle folle umane, negli insetti sociali l’intelligenza collettiva e cumulativa appare proporzionale al numero delle cellule che la compongono. Le specie e le agglomerazioni più dense, di solito, sono infatti le più intraprendenti, ingegnose e civilizzate. Si immagini dunque il grado di intelligenza presente nelle colonie chiamate policaliche, ovvero a nidi confederati, che vivono e si sviluppano per decenni e contano milioni di individui.
conclusione
In questo articolo, oltre che alle mie considerazioni, ho dato ampio spazio a paragrafi liberamente tratti dal libro “La vita delle formiche” del premio Nobel Maurice Maeterlinck, nell’edizione 1991 della Newton Compton. È da questa lettura che è nata la mia passione per gli insetti sociali. Invito chiunque sia arrivato fino alla fine di questa pagina web a leggere il libro nella sua interezza, per scoprire molto di più sul mondo delle formiche. Ma, soprattutto, desidero che questo sia uno sprone a immergersi di persona nella natura e a guardare con i propri occhi le sue meraviglie.
– Federico
Ciao Federico…. oggi ho incontrato il tuo articolo sulle formiche come insetti sociali.. e lo citerò su una cosa che sto scrivendo.. 8sempre che questo per te non sia un problema).. Un saluto da Ernesto
Ciao! Mi fa molto piacere! Quando finisci di scrivere l’articolo avvertimi, sono curioso di leggerlo 🙂 a presto,
Federico