Il Cacciatore di Piante – capitolo VIII


narrativa / venerdì, Luglio 20th, 2018

– Rosa banksiae –

 

 

Anaid si muoveva nel parco di villa Montero con la sicurezza di una leonessa a caccia. Non era servito scavalcare il muro di cinta: un riluttante Gallardo aveva estratto dalla tasca un mazzo di chiavi e ci aveva fatto strada attraverso il cancello principale. Poco prima aveva telefonato a Montero per informarlo che Anaid e io desideravamo collaborare con lui nella ricerca della pianta. Il piano consisteva nell’intavolare una conversazione con Montero, convincerlo della nostra lealtà nei suoi confronti e poi dileguarci col manuale. Il prof. Flores ci attendeva nei laboratori della facoltà di chimica di Barcellona per processare le pagine del libro.

Oltrepassando l’angolo di una siepe il viale si aprì in un ampio cortile e ci trovammo di fronte l’ingresso della villa. Due uomini armati di fucile automatico stavano davanti alla scalinata che conduceva alla porta. Con un brivido mi resi conto che uno dei due era l’uomo che mi aveva sottratto lo zaino tagliandolo con un coltello. Gallardo si fermò a parlare con lui. Dopo qualche minuto ci fece cenno di proseguire ed entrare nell’abitazione, mentre lui ci avrebbe aspettati fuori.

Un maggiordomo aprì la porta e ci fece attraversare alcune sale. Da una finestra vidi Gallardo che parlava concitatamente con la guardia all’ingresso. Per un attimo credetti stessero litigando. Giunti davanti a un corridoio il maggiordomo si fermò. «Seconda porta a destra per lo studio del dottor Montero, prego.»

Proseguimmo da soli, con passi felpati, quasi avessimo paura di svegliare un predatore assopito. Notai una cassaforte nella parete. Feci un cenno ad Anaid. «Potrebbe essere qui dentro» sussurrai. Lei fece cenno di no col capo.
Davanti alla porta dello studio mi fermai un attimo. Non sapevo come aspettarmi Montero. Speravo solo che, se un tipo come Gallardo era riuscito a convincerlo della sua fedeltà, non sarebbe stato troppo difficile portare a termine l’inganno.

Bussai.
Non ci fu risposta.
Provai a bussare di nuovo, ma continuò il silenzio.
Anaid appoggiò la mano alla maniglia e fece scattare la serratura. La porta si aprì cigolando. Mi chiesi come mai, in una casa così lussuosa, Montero non oliasse i cardini proprio del suo studio personale.
La stanza aveva un aspetto antico. Le boiserie che coprivano le pareti erano ornate con motivi vegetali. La finezza delle decorazioni, assieme al fatto di essere al piano terra, creava l’illusione che il giardino penetrasse rigoglioso attraverso l’ampia finestra. Da un vecchio dipinto a olio, quello che pensai fosse il ritratto di Montero mi guardava con aria severa. Ebbi la sensazione di aver già percepito su di me lo stesso sguardo, ma lo studio era deserto. Con un palpito, sulla scrivania notai la presenza di tre soli oggetti. Una coppia di fedi nuziali e il manuale di Botanica Sistematica di Hooker, semplicemente appoggiato lì e non nella cassaforte come avevo pensato.
«Cosa facciamo?», chiesi ad Anaid.
«Proviamo ad aspettare un attimo, magari fra poco arriva.»

I minuti passavano, ma il silenzio continuava a riempire il corridoio e le stanze vicine. Solo il vociare di Gallardo nel cortile, attutito dai muri, sembrava aumentare di intensità.
Mi guardai in giro nervoso. L’ansia cominciava a stringermi lo stomaco. Anaid, invece, sembrava a suo agio, quasi fosse a casa. Mi chiesi quali altri superpoteri le avesse dato lo sciamano nello strano rituale che mi aveva descritto. Mentre io continuavo a sentirmi predato, ella aveva l’aria determinata della predatrice.

«Ho la sensazione che sia una trappola. Guarda lo studio, sembra che Montero non lo utilizzi da anni.»
«Tranquillo, l’unico che sta per cadere in una trappola qui è Montero. Vedrai come lo convinciamo», disse con tono rassicurante.

«Ancora non sono tranquillo, Anaid. Ho una brutta sensazione. Senti, facciamo così: se in cinque minuti non arriva, prendiamo il libro e troviamo il modo di andarcene, va bene?» Fece un sorriso e l’occhiolino, con aria di complicità. «Va bene.»
Il vociare all’esterno raggiunse un livello non più trascurabile, quindi mi avvicinai alla finestra per cercare di guardare verso il cortile. Una Rosa banksiae però, con la sua cascata verde, toglieva la visuale in quella direzione. D’improvviso tutto si fece silenzioso ed emerse un secondo rumore di fondo, molto più lontano, come di folla vociante. Anche Anaid si avvicinò alla finestra. «Lo senti questo rumore? Credo sia una folla che manifesta a favore dell’unità della Spagna, come quella che abbiamo visto al telegiornale, dopo la cerimonia di benvenuto agli Erasmus.»

«La stessa mobilitazione di Madrid, oggi a Barcellona?», domandai interessato.
«Sì. È ancora più importante che siano i catalani stessi a manifestare contro l’indipendenza della loro regione», cominciò a spiegarmi, ma si interruppe di colpo, mentre una nuova espressione si impadroniva del suo viso che guardava all’esterno.
Distolsi lo sguardo dal suo volto e mi girai immediatamente verso il giardino.
Gallardo era comparso nella nostra visuale. Le due guardie erano con lui. Una lo spingeva violentemente per farlo camminare, mentre l’altra gli puntava contro il fucile automatico. Scomparvero dietro una siepe.
Anaid e io non osavamo fiatare. Il silenzio nella mia mente si fece assordante, quando fu rotto dall’esplosione di una raffica di colpi.
L’aria da predatrice evaporò immediatamente dalla faccia di Anaid, che si fece pallida e sudata. Non disse nulla né respirò finché con un singulto riuscì a riprendere fiato. «Cosa hanno fatto», interruppe la frase con un’imprecazione, poi continuò balbettando «oddio lo hanno ucciso.»
Sentivo il cuore spinto al massimo dall’adrenalina. Facevo fatica a ragionare, ma in quel momento mi resi conto di due cose. La prima: ero molto meno stupito di Anaid per quanto era successo. Fino a un attimo prima pareva una leonessa e ora era paralizzata dalla paura. La seconda: dovevo prendere in mano la situazione.
«Dobbiamo andarcene immediatamente», dissi sfiorandole il braccio.
«Lasciami stare», rispose violentemente. «Nei piani nessuno doveva morire! Lo hanno ucciso davvero. Ti rendi conto?»
Agguantai velocemente il manuale di Botanica Sistematica. Mi precipitai alla finestra e strappando qualche ragnatela la aprii. Infine afferrai il braccio di Anaid e la strattonai con forza verso l’esterno. Parve riprendersi. Saltammo il davanzale e cominciammo a correre sul prato, verso il muro di cinta che separava il parco dalla strada.
Ci arrampicammo sul muro sfruttando i rami di un’edera. Anaid saltò nella strada per prima. Io rivolsi un ultimo sguardo alla villa e mi accorsi che una delle due guardie ci indicava, mentre l’altra stava mettendo in moto un’automobile. Scesi anche io dal muro e cominciammo a correre, mentre il cancello principale si apriva.
La macchina delle guardie di Montero si precipitò in strada senza dare precedenza. Un’automobile fu costretta a frenare bruscamente, suonò il clacson e cercò di superare le due guardie, ma quella seduta sul sedile posteriore abbassò il finestrino e fece sporgere il fucile automatico. Fu un segnale sufficiente a sgomberare la strada.
Realizzai che ci avrebbero raggiunti rapidamente, quando vidi un autobus con le portiere aperte a una fermata. Salimmo precipitosamente sul mezzo, che si inserì in una via trafficata. Dalla finestra posteriore riuscivo a vedere l’auto di Montero. Il traffico era congestionato e a nulla valevano le minacce per avanzare più rapidamente. Pensai che per un po’ lì saremmo stati al sicuro, ma in breve mi resi conto che a ogni fermata i due uomini armati si facevano più vicini.

«Próxima parada: Rambla de Catalunya», recitò la voce elettronica dell’autobus.
Mi resi conto che se non fossimo scesi, entro la fermata successiva ci avrebbero raggiunti. Le porte si aprirono e saltammo sulla strada. Il marciapiede conteneva a stento il gran numero di persone che si dirigeva verso Plaça de Catalunya. La maggior parte era vestita di giallo e rosso. Molti sventolavano bandiere spagnole e catalane. Seguimmo il flusso della gente. Una folla sterminata riempiva pacificamente la piazza, che era presidiata da un cordone di polizia in tenuta antisommossa. Notai un uomo che vendeva bandiere e seppi cosa fare: mi avvicinai e ne comprai due. Ci sistemammo i colori della Spagna sulle spalle e entrammo nella folla. Cinque minuti dopo vidi l’auto di Montero frenare bruscamente in prossimità della polizia. L’uomo che faceva sporgere il fucile automatico fuori dal finestrino non fece in tempo a nasconderlo che venne visto dagli agenti. Un gruppo di poliziotti circondò la macchina con le pistole spianate, mentre altri aprirono le portiere e trascinarono al suolo i due uomini di Montero.
«Come raggiungiamo l’università?», chiesi ad Anaid cercando di sovrastare il rumore della folla.
«Non è lontana. Seguimi.»
Lentamente riuscimmo a raggiungere un angolo della piazza e Anaid indicò la targa che, sul muro di un edificio, indicava il nome della via.
«Ronda de la Universitat», lessi sollevato.

 

 

 

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