Il Cacciatore di Piante – Capitolo XIV


narrativa / mercoledì, Agosto 29th, 2018

– Juniperus phoenicea –

 

 

Il cielo si stava tingendo dei colori del vespro quando la corriera superò il villaggio di Imlil e abbandonò la strada principale. Dopo alcune centinaia di metri su di una ripida via secondaria il mezzo si fermò, permettendoci di scendere.
Kasbah du Toubkal era un’antica fortezza degli Imazighen restaurata e adattata ad albergo. Due torri dal tetto piramidale, circondate da terrazzi e giardini pensili, si stagliavano sulla cima di una rupe. Alle sue spalle, oltre una vallata, si ergeva immenso il monte Toubkal.
«Che colori incredibili», disse Anaid incantata. «Il paesaggio fino ad ora era di tutte le tonalità dell’ocra. La montagna invece è azzurra.»
«E quella lassù è neve», aggiunsi stupito.

Mezz’ora dopo ero immerso nell’acqua calda della piscina ottagonale al centro di un hammam, il tipico locale termale arabo.
«Zayd non ha voluto venire a fare il bagno. Lo ha liquidato definendolo “attrazione per occidentali”», dissi ad Anaid, che stava immersa dall’altra parte della vasca, parzialmente visibile tra le nubi di vapore.
«È fatto così», rispose stiracchiandosi. «Godiamoci questo momento.»
Quando, dopo essermi asciugato, raggiunsi la camera da letto, ero completamente rilassato. Tutto quello che era accaduto dall’inizio dell’Erasmus sembrava essermi scivolato via dalla pelle, sciolto dal vapore accogliente della sauna.
Spensi la luce della camera e guardai per un attimo fuori dalla vetrata. Osservai il giardino pensile che abbelliva un grande terrazzo. Notai che Zayd era lì, con l’abito bianco mosso dal vento nel blu della notte. Aveva le mani appoggiate alla ringhiera e lo sguardo rivolto verso la strada da cui eravamo arrivati. Era un panorama mozzafiato, pensai. Un attimo dopo lo sciamano era scomparso dalla vista. Mi lasciai cadere sul letto e in pochi minuti mi addormentai.

Nella stanza era ancora buio quando venni svegliato bruscamente. Qualcuno mi aveva strappato la coperta di dosso. Senza capire cosa stesse succedendo mi misi a sedere sul materasso. Feci per allungare il braccio verso l’interruttore della luce, ma una mano mi afferrò il polso e lo strinse fermamente.
«Se fossi in te non lo farei.»
Era lo sciamano. «Zayd, ma cosa ci fai in camera mia?», chiesi con parole impastate dal sonno.
Mi fece cenno di parlare a bassa voce. «Stanno per raggiungerci. Gli uomini che ti cercano sono arrivati a Imlil. Fra poco saranno qui.»
L’adrenalina finì di svegliarmi. Saltai in piedi mentre anche Anaid raggiungeva la soglia della camera. Aveva già lo zaino sulle spalle. Mi cambiai rapidamente e dopo qualche minuto eravamo sulla strada di fronte a Kasbah du Toubkal. Lo sciamano ci fece entrare fra gli alberi che popolavano la rupe. Un attimo dopo un’automobile sfrecciò sulla carreggiata e frenò nel cortile dell’albergo.
«Forza, da questa parte», bisbigliò Zayd portandoci su di un sentiero.
Camminammo per un tempo che mi sembrò interminabile. Quando il cielo cominciò ad essere rischiarato dall’alba ci fermammo.
«Da questo momento comincerò a cercare la Tribù della Figlia del Sole», annunciò Zayd.
«Noi abbiamo un navigatore GPS», proposi.
Lo sciamano rise. «Non è possibile trovare il luogo che stiamo cercando con un navigatore GPS. Finiremmo per perderci.»
Gli chiesi come avesse intenzione di fare.
«Cantando», rispose misteriosamente.
Si allontanò di qualche passo e cominciò a mormorare qualcosa. Poi, mentre assumeva un ritmo di marcia, parole incomprensibili iniziarono a formare una melodia.
Anaid si avvicinò a me. «Sta cantando le leggende che narrano della Tribù della Figlia del Sole», disse sottovoce.
«E come possono guidarlo delle canzoni?»
«I canti sono un metodo antichissimo per orientarsi in labirinti di roccia come questo. Cantano le gesta degli antenati Imazighen dalla creazione del mondo fino ai giorni nostri. Al contempo descrivono dettagliatamente il territorio.»
«E Zayd le conosce a memoria?»
«Sì. È una delle cose che fanno di lui uno sciamano. Si apprendono attraverso un lungo percorso iniziatico.»
Mi resi conto che camminava veloce e pareva non stancarsi mai lungo i pendii scoscesi.
«Non può fare altrimenti», mi spiegò Anaid. «I canti, per essere usati come mappe, devono essere pronunciati secondo un ritmo preciso e la stessa velocità con cui cammina deve essere misurata con attenzione. La sua andatura è basata sulla metrica delle canzoni.»
«E se non fosse così?»
«Se sbagliasse qualcosa finirebbe per non trovare più corrispondenze tra le descrizioni che pronuncia e l’aspetto del paesaggio. Si perderebbe.»
«Forse è il momento di imparare a usare il tuo nuovo GPS», dissi guardando dubbioso Zayd che trotterellava a una decina di metri da noi.
«Non avere dubbi, sono sicura che troverà la Tribù della Figlia del Sole.»
«So che è in grado di non perdersi tra queste montagne, ma data la velocità con cui cammina c’è la possibilità che siamo noi a perdere lui.»
«Hai ragione», disse estraendo il dispositivo GPS. «Guarda, oltre al monitor ci sono due bracciali la cui posizione viene segnata in tempo reale.»
Ne indossai uno. In questo modo se ci fossimo separati avremmo potuto ritrovarci.

Quella notte, quando Zayd si fermò, mi resi conto che non mangiavo da ventiquattro ore. Lo sciamano parve leggermi nel pensiero e fece comparire un sacchetto di plastica bianca. «Un ricordo della cucina dell’albergo», disse ridacchiando.
«Hai rubato del cibo?», chiesi.
«Il cibo non si ruba, si raccoglie.»
«Ad ogni modo abbiamo pagato il viaggio, ed era “tutto incluso”, quindi non abbiamo rubato nulla», concluse Anaid.
Dopo esserci rifocillati Zayd appoggiò le mani sulla terra. Pareva accarezzarla.
«La Terra è la nostra Grande Madre. Questo è ciò che hanno insegnato i maestri della tribù da cui provengo.»
«Anche la Tribù della Figlia del Sole pratica il culto della Dea Terra. Mi ricordo che me ne parlasti nel nostro primo incontro», disse Anaid.
«La mia tribù non è molto diversa da quella della Figlia del Sole. La nostra cultura è matriarcale.»
«È una forma di società che esisteva prima di quella patriarcale», disse Anaid rivolgendosi a me. «Il culto della Grande Madre risale a prima dell’arrivo delle popolazioni Indoeuropee nel bacino del Mediterraneo.»
«Ognuno di noi sa che dopo la morte nascerà nuovamente nel grembo di una delle donne della tribù. Ogni defunto torna nello stesso clan nelle vesti di bambino», continuò lo sciamano.
«Nelle società matriarcali c’è un grande rispetto per la donna, perché è la donna a garantire la rinascita», aggiunse Anaid.
«Osserva la natura», disse Zayd. «Ogni anno le piante nascono, crescono e fioriscono. Alla fine avvizziscono, ma non per questo cessano si esistere. Restano nel grembo della Madre Terra, che assicura la rinascita di tutti e a tutti dà nutrimento. L’esistenza umana non è diversa dai cicli della natura.»
Lo sciamano si alzò e fece alcuni passi verso le rocce che separavano il luogo dove ci eravamo accampati da un precipizio. Si sedette e restò a guardare le stelle che a poco a poco si facevano più visibili.
Anaid si distese vicino a me. «Queste tribù sono sacre, come sacra è per loro la natura. La loro sopravvivenza ormai è permessa solo da una natura, che, inospitale come questa, le difende con la forza dall’essere divorate dalle società patriarcali.»
«Raccontami quello che sai delle culture matriarcali.»
«Hanno delle caratteristiche incredibilmente distanti dalla nostra società. Non hanno bisogno di mura, perché tra loro non esistono conflitti. Le decisioni vengono prese all’unanimità e non ci sono distinzioni tra i sessi. Non esiste l’avidità e i clan più ricchi invitano tutti i loro vicini e regalano la loro ricchezza. Una studiosa che si chiama Geneviève Vaughan la definisce “economia del dono”.»

Ripartimmo la mattina dopo. I canti di Zayd ci condussero a scendere un pendio, dove le rocce si alternavano a macchie di Juniperus phoenicea. Alcuni ginepri parevano antichissimi. Fronde che sembravano nubi verde scuro erano sostenute da tronchi maestosamente ritorti dalle forze della natura.
Mentre entravamo in una stretta vallata notai i segni della presenza umana. Alcuni sassi impilati regolarmente liberavano piccoli appezzamenti di terra coltivata. Protetto da un grande masso, un recinto ospitava qualche capra e degli asini. Quando arrivò a un centinaio di metri da essi, Zayd si arrestò bruscamente, come se avesse sbattuto contro un muro invisibile.

 

 

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